Faglie sismogenetiche cieche in Pianura Padana

Un recente studio pubblicato su Pure and Applied Geophysics censisce e classifica le faglie sismogenetiche cieche in Pianura Padana, riorganizzando le conoscenze esistenti alla luce dei terremoti emiliani del maggio 2012.

Il “paesaggio geologico” sepolto della Pianura Padana è molto articolato e complesso e possiamo immaginarlo costituito da vere e proprie montagne ammantate da gran di quantità di sedimenti di origine marina e fluviale. Questi sedimenti hanno spessori molto variabili, tra diverse migliaia di metri e poco più di 100 metri, e nascondono alla semplice osservazione le strutture tettoniche sottostanti, che possono però essere rilevate grazie alle numerose prospezioni geofisiche rese disponibili dall’esplorazione petrolifera a partire dal secondo dopoguerra.

La Pianura Padana rappresenta dunque un unicum geologico perché i suoi sedimenti nascondono la zona di contatto tra i thrust (termine per indicare le faglie con movimento di tipo inverso) delle Alpi Meridionali, a nord, e quelli dell’Appennino Settentrionale, a sud (Figura 1). In pratica entrambe queste catene montuose, che noi conosciamo e vediamo nella loro parte esposta, proseguono con delle porzioni sepolte che arrivano quasi a toccarsi nel sottosuolo padano.

Figura 1: Mappa strutturale semplificata della Pianura Padana. Linee nere: principali elementi tettonici; linee bianche: faglie ereditate; SAMF: fronte montuoso delle Alpi Meridionali; SAOA: arco esterno delle Alpi Meridionali; GS: Sistema delle Giudicarie; SVL: Schio-Vicenza; NAOA: arco esterno dell’Appennino Settentrionale; PTF: fronte pedeappenninico; MA: arco del Monferrato; EA: arco Emiliano; FRA: arco Ferrarese-Romagnolo.
Figura 1: Mappa strutturale semplificata della Pianura Padana. Linee nere: principali elementi tettonici; linee bianche: faglie ereditate; SAMF: fronte montuoso delle Alpi Meridionali; SAOA: arco esterno delle Alpi Meridionali; GS: Sistema delle Giudicarie; SVL: Schio-Vicenza; NAOA: arco esterno dell’Appennino Settentrionale; PTF: fronte pedeappenninico; MA: arco del Monferrato; EA: arco Emiliano; FRA: arco Ferrarese-Romagnolo.

Attraverso alcuni milioni di anni il progressivo moto di avvicinamento della Placca Africana  e della Placca Europea ha determinato prima la nascita delle Alpi e degli Appennini, attraverso il progressivo corrugamento di migliaia di metri di sedimenti originariamente deposti in un antico oceano noto come Tetide, sviluppatosi a partire da circa 250 milioni di anni fa tra il Permiano ed il Triassico inferiore; poi ne ha sollevato le porzioni assiali creando il paesaggio montuoso che oggi conosciamo, secondo un meccanismo ancora attivo alla velocità di 1-3 metri per millennio. L’avvicinamento di Alpi e Appennini secondo una direttrice circa N-S, e quindi il raccorciamento della Pianura Padana, è tuttora in atto, come mostrano i dati geodetici satellitari. In profondità questo raccorciamento si trasforma in uno sforzo di caricamento di faglie di tipo compressivo localizzate sia al piede delle Alpi Meridionali, sia al piede dell’Appennino Settentrionale.

Figura 2: Terremoti storici e strumentali (CPTI11, Bollettino Sismico Italiano e ISIDe Link ai rispettivi siti). I terremoti storici con M ≥ 5,3 sono rappresentati con quadrati. I terremoti strumentali con M ≥ 5,0 sono rappresentati con stelle; quelli con 4,5 ≤ M ≥ 4,9 sono rappresentati con pallini. Tutti i terremoti sono collegati alle tabelle 1 e 2 attraverso il loro ID. a) Sismicità e meccanismi focali disponibili (Pondrelli et al., 2006; TDMT database link http://cnt.rm.ingv.it/tdmt.html). b) Terremoti multipli e terremoti profondi (i terremoti multipli sono rappresentati con pattern grigio; i terremoti profondi in grassetto).
Figura 2: Terremoti storici e strumentali (CPTI11, Bollettino Sismico Italiano e ISIDe). I terremoti storici con M ≥ 5.3 sono rappresentati con quadrati. I terremoti strumentali con M ≥ 5.0 sono rappresentati con stelle; quelli con 4.5 ≤ M ≥ 4.9 sono rappresentati con pallini. Tutti i terremoti sono collegati alle tabelle 1 e 2 attraverso il loro ID. a) Sismicità e meccanismi focali disponibili (Pondrelli et al., 2006; TDMT database). b) Terremoti multipli e terremoti profondi (i terremoti multipli sono rappresentati con pattern grigio; i terremoti profondi in grassetto).

Al di sotto dei sedimenti della Pianura Padana esistono quindi strutture tettoniche attive e capaci di generare terremoti, come testimonia sia la sismicità strumentale dell’area, sia il verificarsi di importanti terremoti storici (Figura 2). Per rimanere nell’area emiliana ricordiamo la sequenza sismica di Ferrara del 1570 (Figura 3), quella che ha colpito Argenta nel 1624 e i numerosi terremoti che hanno colpito Bologna nel 1929, tutti con magnitudo stimata tra 5.5 e 6.0. Recentemente, i thrust sepolti dell’Appennino Settentrionale si sono attivati durante la sequenza dell’Emilia del 2012. Una caratteristica comune delle sequenze emiliane del 1570, 1929 e 2012 è quella di essere costituite da più terremoti potenzialmente distruttivi, anche con magnitudo simile, che si susseguono nell’arco di giorni, settimane o mesi. Ma il più forte terremoto di cui si ha notizia nell’area padana è quello che il 3 gennaio del 1117 ha duramente colpito Verona e le aree poste a sud di essa (magnitudo stimata 6.7). La precisazione “di cui si ha notizia” è doverosa perché per molti secoli la Pianura Padana è stata sede di ampie aree paludose e di fitte e impraticabili foreste con sporadici nuclei abitati; esiste quindi la possibilità che altri forti terremoti accaduti nell’area siano stati poco risentiti dall’uomo o non siano stati risentiti affatto, e quindi che non siano stati adeguatamente documentati, apparendo come terremoti minori o scomparendo del tutto dalle fonti storiche.

Figura 3: Confronto tra terremoti con risentimenti macrosismici molto diversi tra loro. Mappa delle intensità macrosismiche, con valori di Intensità ≥ 5. Nv è il numero di località con Intensità ≥ 5. La superficie maggiore interessata dal risentimento degli eventi del 13 gennaio 1909 e del 9 novembre 1983 evidenzia come la profondità di questi due eventi sia ben maggiore di quella dei terremoti del 17 novembre 1570 e del 20 maggio 2012.
Figura 3: Confronto tra terremoti con risentimenti macrosismici molto diversi tra loro. Mappa delle intensità macrosismiche, con valori di Intensità ≥ 5. Nv è il numero di località con Intensità ≥ 5. La superficie maggiore interessata dal risentimento degli eventi del 13 gennaio 1909 e del 9 novembre 1983 evidenzia come la profondità di questi due eventi sia ben maggiore di quella dei terremoti del 17 novembre 1570 e del 20 maggio 2012.

Come mostrano la Figura 3 e le Tabelle 1 e 2 la Pianura Padana è interessata sia da terremoti superficiali sia da terremoti relativamente profondi; visto il contesto sismotettonico, possiamo convenzionalmente assumere come terremoti “profondi” tutti gli eventi localizzati al di sotto la profondità di 15 km. I terremoti più superficiali tendono a causare effetti significativi ma molto concentrati nello spazio, mentre a parità di magnitudo un terremoto profondo farà meno danni ma su un’area molto più ampia: è la cosiddetta “firma macrosismica” dei terremoti, che ci consente di ipotizzare la profondità focale anche per quelli più antichi.

Un’importante caratteristica che accomuna i terremoti della Pianura Padana è che, in virtù della loro cinematica e del loro contesto geologico, anche i più superficiali tra essi non producono fagliazione della superficie topografica, o comunque non sono noti effetti di terremoti del passato che potrebbero essere ricondotti a fagliazione superficiale. In altre parole, le faglie della Pianura Padana non arrivano a tagliare la superficie terrestre ma si fermano in profondità, e prendono per questo il nome di faglie cieche. Ne consegue che le faglie padane possono essere investigate solo tramite metodi indiretti. Tuttavia, a causa delle caratteristiche geologiche dei terreni più superficiali, i forti terremoti padani causano spesso importanti effetti di liquefazione ed espulsione di sedimenti sabbiosi (vulcani di fango) che possono risultare più dannosi per gli edifici che non lo scuotimento stesso.

Identificare e parametrizzare le faglie responsabili dei principali terremoti della Pianura Padana – ossia le sorgenti sismogenetiche – richiede che si prenda in dovuta considerazione la loro profondità, geometria e cinematica, sia rispetto all’assetto delle due catene montuose attualmente “in avvicinamento” (le Alpi e gli Appennini), sia rispetto all’assetto paleogeografico preesistente. L’avvicinamento delle due catene è infatti fortemente condizionato dalla presenza di un contesto geologico “ereditato”, caratterizzato da antiche piattaforme carbonatiche e depositi di bacini marini profondi separati da faglie estensionali sviluppatesi durante l’apertura della Tetide. Questa articolata paleogeografia controlla fortemente lo sviluppo, l’evoluzione e la forma dei fronti montuosi sepolti al di sotto dei depositi della pianura. La conoscenza della paleogeografia dell’area oggi occupata dalla Pianura Padana è quindi molto importante per individuarne e caratterizzarne le sorgenti sismogenetiche.

Figura 4: Schema semplificato che illustra i quattro gruppi di sorgente sismogenetica identificati in Pianura Padana nel recente studio. Oltre ai thrust superficiali e profondi, sono presenti le faglie ereditate che tagliano l’avampaese e le strutture trasversali. Queste ultime sono state interpretate, in questo studio, come la risposta fragile della litosfera superiore alla variazione dell’inclinazione della monoclinale regionale. EA: arco Emiliano; FRA: arco Ferrarese-Romagnolo; PTF: fronte pedeappenninico.
Figura 4: Schema semplificato che illustra i quattro gruppi di sorgente sismogenetica identificati in Pianura Padana nel recente studio. Oltre ai thrust superficiali e profondi, sono presenti le faglie ereditate che tagliano l’avampaese e le strutture trasversali. Queste ultime sono state interpretate, in questo studio, come la risposta fragile della litosfera superiore alla variazione dell’inclinazione della monoclinale regionale. EA: arco Emiliano; FRA: arco Ferrarese-Romagnolo; PTF: fronte pedeappenninico.

Questo studio, appena pubblicato su Pure and Applied Geophysics, ha ripreso in esame e riorganizzato tutte le conoscenze sulla geologia, sulla tettonica e sulla sismicità della Pianura Padana. Le faglie cieche della Pianura Padana sono state suddivise in quattro gruppi principali (Figure 4 e 5):

  • Gruppo #1: i thrust superficiali delle Alpi e degli Appennini, che includono sia i sistemi di faglie che corrono ai piedi dei rispettivi rilievi sia i fronti più esterni in pianura;
  • Gruppo #2: i thrust profondi dell’Appennino settentrionale;
  • Gruppo #3: le strutture “ereditate”;
  • Gruppo #4: le strutture trasversali alle catene delle Alpi e dell’Appennino.
Figura 5: Sorgenti Sismogenetiche Individuali (ISS) e Sorgenti Sismogenetiche Composite (CSS) della Pianura Padana (rappresentate rispettivamente con rettangoli neri e fasce rosse; per le definizioni si vedano Basili et al., 2008; DISS v. 3.2 link http://diss.rm.ingv.it/diss/). Le anomalie della rete di drenaggio sono evidenziate in tratteggio bianco. SAMF: fronte montuoso delle Alpi Meridionali; SAOA: arco esterno delle Alpi Meridionali; GS: Sistema delle Giudicarie; SVL: Schio-Vicenza; PTF: fronte pedeappenninico; EA: arco Emiliano; FRA: arco Ferrarese-Romagnolo.
Figura 5: Sorgenti Sismogenetiche Individuali (ISS) e Sorgenti Sismogenetiche Composite (CSS) della Pianura Padana (rappresentate rispettivamente con rettangoli neri e fasce rosse; per le definizioni si vedano Basili et al., 2008; DISS v. 3.2). Le anomalie della rete di drenaggio sono evidenziate in tratteggio bianco. SAMF: fronte montuoso delle Alpi Meridionali; SAOA: arco esterno delle Alpi Meridionali; GS: Sistema delle Giudicarie; SVL: Schio-Vicenza; PTF: fronte pedeappenninico; EA: arco Emiliano; FRA: arco Ferrarese-Romagnolo.

Le Tabelle 1 e 2 contengono un primo tentativo di attribuire ogni forte terremoto storico (Tabella 1) e ogni terremoto strumentale significativo (Tabella 2) della Pianura Padana a questi quattro grandi gruppi di faglie e singole strutture tettoniche note. Ad esempio il forte terremoto del 3 gennaio 1117 viene attribuito a una faglia “ereditata”, ossia una struttura estensionale di età mesozoica riattivata nell’attuale regime tettonico compressivo (ITIS140 in Fig. 5). L’identificazione di questa faglia – localizzata, come ci dicono gli aggiornati dati del risentimento macrosismico, al di sotto delle Valli Grandi Veronesi, a sud dei Monti Lessini – è basata sia sull’analisi di dati del sottosuolo, che confermano la presenza di una faglia ereditata, sia su evidenze di geomorfologia tettonica. Lungo i corsi dei fiumi Mincio e Adige sono state identificate diverse “anomalie di drenaggio”, ovvero anomalie nell’andamento atteso delle aste fluviali, compatibili con il sollevamento della superficie topografica causato dal movimento in profondità di tale faglia ereditata. Un analogo studio condotto tra il 1999 e il 2003 confrontando dati geomorfologici e geofisici aveva già permesso di identificare la sorgente sismogenetica che avrebbe poi causato il terremoto del 29 maggio 2012 (magnitudo 5.8; ITIS107 in Fig. 5). Le due sorgenti degli eventi del 3 gennaio 1117 e del 29 maggio 2012, pur appartenendo a due diverse tipologie di faglia (Gruppo #3 e Gruppo #1, rispettivamente) e pur avendo dimensioni molto diverse tra loro (circa 30 km e circa 9 km di lunghezza, rispettivamente), sono accomunate dalla loro natura compressiva, dal fatto di essere entrambe cieche, e dall’aver creato simili deviazioni nell’andamento del corso dei fiumi.

Abbiamo visto come in Pianura Padana accadano non solo terremoti superficiali ma anche eventi profondi. Le faglie responsabili di questi terremoti possono appartenere alla categoria dei thrust profondi, ossia alle sorgenti compressive più interne alla catena (Gruppo #2), come nel caso del terremoto del 14 settembre 2003 (magnitudo 5.3); un evento con cinematica compressiva localizzato a circa 20 km di profondità al di sotto dell’Appennino bolognese.

Tuttavia non sempre è possibile attribuire i terremoti profondi al Gruppo #2 come si evince dal video pubblicato sul canale YouTube/INGVTerremoti.

Figura 6: Schema sismotettonico della Pianura Padana, con i principali elementi paleogeografici ed, esclusivamente, i terremoti con M > 4,5 e profondità > 15km. Le isolinee tratteggiate rappresentano l’inclinazione della monoclinale regionale (elaborato da Mariotti e Doglioni, 2000). Fasce grigie: sorgenti sismogenetiche composite (DISS Working Group, 2014); linee bianche: faglie ereditate (Rogledi, 2010); area tratteggiata grigia: Piattaforma di Trento (Cuffaro et al., 2010); linee grigie tratteggiate: strutture trasversali; SVL, Schio-Vicenza Line; VTL, Val Trebbia Line; SOL, Stirone-Ongina Line; TEL, Taro-Enza Line; EL, Enza Line; SL, Secchia Line; VVL, Viareggio-Val di Lima-Bologna Line; PSL, Prato-Sillaro Line; ML, Montone Line; AVML, Arbia-Val Marecchia Line.
Figura 6: Schema sismotettonico della Pianura Padana, con i principali elementi paleogeografici ed, esclusivamente, i terremoti con M > 4.5 e profondità > 15 km. Le isolinee tratteggiate rappresentano l’inclinazione della monoclinale regionale (elaborato da Mariotti e Doglioni, 2000). Fasce grigie: sorgenti sismogenetiche composite (DISS Working Group, 2014); linee bianche: faglie ereditate (Rogledi, 2010); area tratteggiata grigia: Piattaforma di Trento (Cuffaro et al., 2010); linee grigie tratteggiate: strutture trasversali; SVL, Schio-Vicenza Line; VTL, Val Trebbia Line; SOL, Stirone-Ongina Line; TEL, Taro-Enza Line; EL, Enza Line; SL, Secchia Line; VVL, Viareggio-Val di Lima-Bologna Line; PSL, Prato-Sillaro Line; ML, Montone Line; AVML, Arbia-Val Marecchia Line.

Le faglie responsabili di alcuni di questi terremoti possono infatti appartenere:

  • al Gruppo #3, come nel caso del terremoto profondo del Lodigiano del 15 maggio 1951 (magnitudo 5.4), avvenuto in un’area in cui i fronti appenninici e alpini sono molto vicini, poco sviluppati e privi di rampe capaci di generare terremoti profondi. Per via dell’inusuale localizzazione di questo evento e per la presenza di campi di produzione di gas, in uno studio del 1956 Pietro Caloi e altri sismologi ritennero questo terremoto come probabilmente causato dalle attività estrattive. Oggi però sappiamo che il terremoto del 1951 fu piuttosto profondo e che proprio in corrispondenza dell’area di massimo risentimento di questo terremoto esiste una faglia ereditata nel basamento;
  • al Gruppo #4, come nel caso del terremoto del 13 settembre 1989 (magnitudo 4.7), con profondità 40 km e meccanismo focale trascorrente. La struttura responsabile di questo evento è ritenuta essere la cosiddetta “Linea Schio-Vicenza”, un’importante struttura trascorrente, sub-verticale, con andamento nordovest-sudest, lunga circa 120 km (SVL in Figure 5 e 6). Nel nostro recente studio abbiamo interpretato le strutture profonde trasversali alla catena come la risposta fragile della litosfera superiore alle variazioni laterali dell’inclinazione della monoclinale regionale (Figure 4 e 6). Come abbiamo visto, l’avanzamento dei thrust è controllato dalla paleogeografia e, inoltre, si nota come i margini dei thrust corrispondano alle strutture trasversali note in letteratura, che segmentano il sistema compressivo. Questa interpretazione si basa anche sull’osservazione che molti importanti terremoti strumentali e storici profondi (Figura 6) sembrano concentrarsi proprio in prossimità di tali strutture.

A cura di Paola Vannoli, Pierfrancesco Burrato e Gianluca Valensise – INGV-Roma1.

Il lavoro citato è pubblicato su Pure and Applied Geophysics: Paola Vannoli, Pierfrancesco Burrato, Gianluca Valensise, The seismotectonic of the Po Plain (northern Italy): tectonic diversity in a blind faulting domain, 2014, doi: 10.1007/s00024-014-0873-0, http://link.springer.com/article/10.1007%2Fs00024-014-0873-0.


Bibliografia

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Boschi, E., And Guidoboni, E. (2003), I terremoti a Bologna e nel suo territorio dal XII al XX secolo, Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia – Storia Geofisica Ambiente, Editrice Compositori.

Burrato, P., Ciucci, F., And Valensise, G. (2003), An inventory of river anomalies in the Po Plain, Northern Italy: evidence for active blind thrust faulting, Ann. Geophys. 5, 865-882, doi:10.4401/ag-3459.

Caloi, P., De Panfilis, M., Di Filippo, D., Marcelli, L., And Spadea, M.C. (1956), Terremoti della Val Padana del 15-16 maggio 1951, Ann. Geofis. 9, 1, 63-105.

Cuffaro, M., Riguzzi, F., Scrocca, D., Antonioli, F., Carminati, E., Livani, M., And Doglioni, C. (2010), On the geodynamics of the northern Adriatic plate, Rend. Fis. Acc. Lincei 21, 1, S253-S279, doi: 10.1007/s12210-010-0098-9.

Diss Working Group (2010), Database of Individual Seismogenic Sources (DISS), Version 3.1.1: A compilation of potential sources for earthquakes larger than M 5.5 in Italy and surrounding areas, http://diss.rm.ingv.it/diss/, © INGV 2010 – Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia – doi: 10.6092/INGV.IT-DISS3.1.1.

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Meloni, F., Molin, D., And Rossi A. (1988), Indagine macrosismica sui terremoti “profondi” del 27 ottobre 1914 e 25 ottobre 1972, Atti del 7° Convegno Annuale del GNGTS, Roma 1, 221-236.

Pondrelli, S., Salimbeni, S., Ekstrom, G., Morelli, A., Gasperini, P., And Vannucci, G. (2006), The Italian CMT dataset from 1977 to the present, Phys. Earth Planet. In. 159, 3-4, 286-303, doi: 10.1016/j.pepi.2006.07.008.

Rogledi, S. (2010), Assetto strutturale delle unità alpine nella pianura tra il lago d’Iseo e il Garda, Workshop “Rischio sismico nella Pianura Padana”, Brescia 24 Novembre 2010.

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