Le rocce che formano la crosta terrestre subiscono continuamente giganteschi sforzi, che sono il risultato di lenti movimenti tra le grandi placche in cui è suddiviso lo strato più superficiale della Terra.
Quando gli sforzi superano il limite di resistenza delle rocce, queste si rompono all’improvviso liberando energia che si propaga, sotto forma di onde sismiche, dall’ipocentro in tutte le direzioni, generando il terremoto.

Qualche volta la frattura che genera il terremoto, chiamata faglia, è visibile in superficie e forma la scarpata di faglia, una deformazione permanente che è l’effetto del processo avvenuto in profondità.
La rottura delle rocce libera una enorme quantità di energia, che a sua volta genera delle potenti oscillazioni che si propagano nella Terra: le onde sismiche. Un terremoto ne genera diversi tipi.

Le principali sono le onde P e le onde S. Le onde P (come “Prime”) fanno vibrare il suolo nella stessa direzione in cui si propagano; comprimono e dilatano in successione le rocce che attraversano, come una fisarmonica. Invece le onde S (come “Seconde”) fanno vibrare le rocce perpendicolarmente rispetto alla loro direzione di marcia, come una corda che viene scossa.
Le onde P sono più veloci delle onde S (circa 1.7 volte), quindi sono le prime ad essere registrate dai sismometri, seguite dalle onde S. Per ultime arrivano le onde superficiali, che si propagano solo sulla superficie terrestre. Le onde sismiche attraversano gli strati della Terra variando la velocità e anche la loro direzione a seconda della densità dello strato che attraversano: maggiore è la densità, maggiore è la velocità e diversa è la direzione di propagazione. Andando verso il centro della Terra, il passaggio da uno strato all’altro fa sì che i raggi sismici non percorrano traiettorie dritte ma curve.

Le onde sismiche producono effetti sull’uomo e sull’ambiente, e sono anche la migliore fonte di informazione per studiare l’interno della Terra. Dall’inizio del XX secolo le tecniche di registrazione delle onde sismiche e i metodi per interpretarle hanno fatto grandi progressi. Grazie ad essi abbiamo potuto capire qual è la struttura profonda della Terra.

La Terra è costituita da strati con caratteristiche molto diverse tra loro: i principali sono crosta, mantello e nucleo. La crosta e la parte più esterna del mantello costituiscono la litosfera: i terremoti nascono qui. Le rocce che formano la crosta e il mantello superiore subiscono continuamente giganteschi sforzi, che sono il risultato di lenti movimenti tra le grandi placche in cui è suddiviso lo strato più superficiale della Terra.

Tali movimenti sono prodotti dai moti convettivi del mantello che spingono e trascinano le placche generando sforzi che sono massimi vicino ai confini tra le placche stesse e minimi al loro interno.
Le rocce che formano la crosta hanno un limite di resistenza e quando gli sforzi superano questo limite le rocce si rompono. La frattura si propaga in modo rapido e violento, generando il terremoto, cioè liberando energia sotto forma di onde elastiche.

La grandezza di un terremoto si misura con due valori diversi: la magnitudo e l’intensità. La magnitudo (ideata nel 1935 dal famoso sismologo statunitense Charles F. Richter) si usa per misurare quanto è stato forte un terremoto, cioè per stimare quanta energia elastica quel terremoto ha sprigionato. Infatti fra la grandezza, o magnitudo, e l’energia di un terremoto c’è un rapporto matematico molto particolare. Ogni volta che la magnitudo sale di una unità l’energia aumenta non di una, ma di circa 30 volte. In altre parole, rispetto a un terremoto di magnitudo 1, un terremoto di magnitudo 2 è 30 volte più forte, mentre uno di magnitudo 3 è 30 per 30 volte, cioè 900 volte più forte!

La massima magnitudo mai misurata, pari a 9.5, è quella del terremoto del Cile nel 1960. I più piccoli terremoti percepiti dall’uomo hanno magnitudo molto basse (intorno a 2.0), mentre quelli che possono provocare danni hanno in genere una magnitudo superiore a 5.5.
L’altro modo per misurare un terremoto è secondo la sua intensità. Ad essere presi in esame qui sono gli effetti sull’ambiente, sulle cose e sull’uomo. Se la magnitudo di un certo terremoto è solo una, l’intensità invece può cambiare da luogo a luogo, secondo quel che è successo a cose e persone; in genere, più ci si allontana dall’epicentro e più diminuisce. L’intensità di un terremoto viene espressa con la scala Mercalli, dal nome del sismologo italiano che, all’inizio del XX secolo, diffuse a livello internazionale la classificazione dei terremoti secondo gli effetti e i danni che producevano. Questa scala, successivamente modificata da Cancani e Sieberg, si compone di dodici gradi: più alto il grado, più disastroso il terremoto.

Per stimare l’intensità di un terremoto bisogna osservare e valutare gli effetti che esso ha causato in tutta l’area interessata. Per questo squadre di tecnici specializzati compiono ricognizioni nella zona colpita da un terremoto e raccolgono dati per realizzare delle mappe (mappe macrosismiche) in cui le diverse località sono raggruppate secondo l’intensità del sisma.

Ogni linea che contiene un’area di colore diverso, racchiude le località di uguale grado di intensità (isolinea), cioè le aree che hanno subìto lo stesso grado di danneggiamento.
La magnitudo Richter ML e la scala Mercalli-Cancani-Sieberg sono due misure estremamente diverse: la prima è ottenuta utilizzando i sismometri; la seconda è una classificazione degli effetti del terremoto su persone e cose. Sono misure non sempre correlabili; terremoti forti in zone disabitate o con edifici antisismici non causano danni e hanno quindi gradi bassi di intensità. Viceversa, piccoli terremoti in aree con costruzioni non adeguate possono provocare danni e determinare gradi alti di intensità.
I sismologi indicano la dimensione di un terremoto in unità di magnitudo. Sono molti e diversi tra loro i modi con cui la magnitudo è misurata a partire dai sismogrammi perché ogni metodo funziona solo su un intervallo limitato di magnitudo e di distanze epicentrali, oltre che con differenti tipi di sismometri. Alcuni metodi sono basati su onde di volume (che viaggiano in profondità all’interno della struttura della Terra), alcuni basati su onde superficiali (che viaggiano soprattutto lungo gli strati superficiali della Terra) e alcuni basati su metodologie completamente diverse. Tuttavia, tutti i metodi sono progettati per raccordarsi ben oltre l’intervallo di magnitudo dove sono affidabili. Valori preliminari di magnitudo, basati su dati incompleti ma disponibili già dopo poche decine di secondi dal terremoto vengono comunicati al Dipartimento della Protezione Civile e riportati su web. Tali valori preliminari di magnitudo, che possono differire dalla magnitudo definitiva anche notevolmente (circa 0.5), sono sufficienti per scopi di protezione civile e sono sostituiti da stime più accurate di magnitudo non appena altri dati sono disponibili. Nella maggior parte dei casi, la prima stima della magnitudo fornita dalla Sala di Sorveglianza Sismica dell’INGV di Roma è la magnitudo Richter o magnitudo locale ML. Per eventi di magnitudo maggiore di circa 3.5, se ci sono dati disponibili, si calcola il meccanismo focale con la tecnica del Time Domain Moment Tensor (TDMT) e si ottiene anche la Magnitudo Momento MW.
La durata della percezione di un terremoto dipende dalla magnitudo dell’evento, dalla distanza dell’ipocentro e dalla geologia del suolo sul quale ci si trova. Inoltre, nel caso in cui il sisma sia avvertito all’interno di un edificio, l’altezza dello stabile e la tipologia edilizia influenzano fortemente l’intensità e la durata della percezione dell’evento. In genere la durata percepita va da pochi secondi a più di un minuto a seconda delle condizioni prima descritte.
Di seguito una spiegazione dettagliata della questione.
La “durata di un terremoto” non è definibile in modo univoco, in quanto quello che può essere calcolato dai dati strumentali non coincide con la durata dello scuotimento percepito dalle persone.
Ci sono, infatti, due modi di pensare la durata di un terremoto: il primo è il tempo necessario affinché la faglia (la sorgente del terremoto) si rompa e il secondo è il tempo di scuotimento percepito da una persona in un dato punto.
Il primo è un dato che, anche se non in modo immediato, viene calcolato analizzando i segnali sismici registrati. La durata dello scuotimento in un determinato punto, invece, la si può conoscere solo avendo una stazione sismica esattamente in quel punto. Anche in questo modo, va considerato che la durata dello scuotimento misurata da uno strumento è sempre maggiore di quella percepita da una persona nello stesso punto, in quanto gli strumenti sono molto più sensibili dell’uomo e registrano anche scuotimenti impercettibili.
Il terremoto è causato dall’improvviso scorrimento (o rottura) di due blocchi di crosta lungo una frattura, chiamata faglia. La durata della rottura (o scorrimento) della faglia è legata sia a quanto tempo un punto sulla faglia impiega a scorrere e sia al tempo necessario affinché la rottura si propaghi lungo la faglia. Bisogna infatti pensare a un terremoto come un’area piuttosto che a un punto (come per convenzione viene rappresentato l’epicentro sulle mappe). Il terremoto inizia in un punto (l’ipocentro) e poi la rottura si propaga lungo la faglia a circa 3 km/s. Quindi, maggiore è l’area della faglia che si rompe, maggiore è la durata del terremoto. Quanto più estesa è l’area della faglia che si rompe, tanto più grande è la magnitudo del terremoto. Quindi c’è una relazione generale tra la durata e la magnitudo di un terremoto.
Il motivo per cui non è possibile indicare rapidamente questo tipo di durata sui siti web e sulle applicazioni INGV (come per tutti i centri di ricerca sui terremoti) è che il calcolo di quanto tempo una faglia ci ha messo a rompersi non è immediato.
La durata dello scuotimento in un punto sul terreno dipende da quanto tempo il terremoto impiega a verificarsi e da come le onde si muovono attraverso il terreno fino a quel punto. Inoltre, particolari caratteristiche geologiche (terreni incoerenti, sedimenti alluvionali, ecc) possono produrre effetti di amplificazione e far durare lo scuotimento più a lungo di quanto accade su suoli rigidi come per esempio una roccia solida (granito, calcare, ecc.).
Altro aspetto importante da sottolineare per comprendere la percezione della durata di un terremoto è che, nel caso in cui il sisma sia avvertito all’interno di un edificio, l’altezza dello stabile e la tipologia edilizia influenzano fortemente l’intensità e la durata dell’evento.
Essendo quindi la durata dello scuotimento molto variabile da luogo a luogo in funzione della distanza e delle condizioni locali, diventa difficile fornirne una misura unica e significativa.
Per comprendere il principio di un metodo di localizzazione epicentrale, la figura sotto mostra il metodo che veniva usato quanto gli strumenti sismici erano pochi e non esistevano i calcolatori. Il cosiddetto metodo dei cerchi è basato sulla differenza tra il tempo di arrivo delle onde P e quello delle onde S che si possono determinare sui sismogrammi, ottenendo dopo qualche calcolo, la distanza tra l’epicentro e la stazione dove si trova il sismometro. Tracciando, intorno alla stazione, un cerchio di raggio pari alla distanza appena calcolata, e ripetendo lo stesso procedimento per almeno altre due stazioni si può calcolare dove si trova l’epicentro: nel punto in cui si incrociano le rette passanti per i punti di intersezione tra le varie circonferenze.

Oggi il calcolo di un ipocentro di un terremoto in Italia viene fatto in maniera automatica e in meno di un minuto dai calcolatori che analizzano i sismogrammi digitali che vengono rilevati dalle centinaia di sismometri che compongono la Rete Sismica Nazionale. L’intervento dei sismologi, presenti nella Sala di Sorveglianza Sismica dell’INGV 24 ore al giorno, è comunque importante per rivedere i tempi di arrivo delle onde P ed S, per verificare la magnitudo, la profondità ipocentrale e seguire l’andamento dell’attività sismica, soprattutto in caso di sequenze.
I dati di ogni terremoto di magnitudo superiore o uguale a 2.5 che avviene in Italia vengono comunicati al Dipartimento di Protezione Civile dopo pochissimi minuti e pubblicati successivamente sul sito web dell’INGV.

I terremoti catastrofici avvenuti in Italia e nel mondo ci hanno insegnato che un’informazione rapida e precisa è indispensabile affinché la Protezione Civile possa organizzare i primi soccorsi nelle zone colpite.

Per questo motivo l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia gestisce una rete di circa 400 stazioni sismiche ubicate su tutto il territorio nazionale e nelle aree limitrofe, appartenenti alla Rete Sismica Nazionale. Altre reti regionali e locali gestite da altri Enti, con i quali esiste un coordinamento (ai sensi del D.Lgs. 381/1999), contribuiscono al monitoraggio del territorio nazionale. In particolare, la collaborazione con Enti e Università, come l’INOGS e il DipTeRis dell’Università di Genova, consente un monitoraggio di dettaglio dell’Italia nord-orientale e nord-occidentale, rispettivamente, grazie a una sinergia di lunga data tra l’INGV e questi Enti. Altre collaborazioni sono attive con la Fondazione Prato Ricerche, con l’ENEL SpA, con l’Osservatorio A. Bina di Perugia, con l’Università della Calabria, e con altri osservatori in tutto il territorio nazionale. L’elenco completo delle stazioni della Rete Sismica Nazionale, gestita dall’INGV e delle altre reti regionali e locali gestite da altri Enti è disponibile alla pagina http://terremoti.ingv.it/instruments/).
Le stazioni sismiche sono postazioni fisse, dotate di strumenti che rilevano ogni minimo movimento del suolo. I segnali sismici di tutte queste stazioni arrivano nella Sala di Sorveglianza Sismica di Roma.

Altre Sale Operative dell’INGV a Napoli e Catania sorvegliano le zone vulcaniche in attività: quella del Vesuvio e Campi Flegrei, quella dell’Etna e i vulcani delle Isole Eolie. Per 365 giorni l’anno, 24 ore su 24, le tre sale operative controllano l’attività sismica e vulcanica del territorio nazionale e del bacino mediterraneo. Questo lavoro di sorveglianza viene svolto da tecnici specializzati, sismologi e vulcanologi, che studiano ed elaborano i dati trasmessi in tempo reale dalle stazioni della Rete Sismica Nazionale.

In caso di terremoto si può quindi avere un’analisi accurata del fenomeno e trasmettere in pochi minuti al Dipartimento di Protezione Civile la posizione dell’ipocentro, la magnitudo Richter ML, la lista delle località più vicine all’epicentro. Tali informazioni sono fondamentali per ottenere una stima preliminare dei possibili effetti al fine di valutare le risorse necessarie da mettere in campo per gestire le eventuali emergenze.
Qui sono schematizzati i tempi del processo di localizzazione di un evento sismico, parallelamente ai tempi con cui l’INGV informa il Dipartimento della Protezione Civile per terremoti di magnitudo ML≥2.5.
Dopo 2 minuti da un evento sismico (se di magnitudo ML≥3.0) è possibile avere una prima stima della posizione dell’epicentro, della profondità e della magnitudo del terremoto. Questa valutazione avviene in modo automatico e si basa sui dati inviati dalle stazioni sismiche più vicine all’evento.
In 5 minuti (se l’evento sismico ha magnitudo ML≥2.5) sono disponibili i sismogrammi di tutte le stazioni della Rete Sismica Nazionale interessate dal terremoto. In questo caso la stima, sebbene ancora automatica, risulta essere più precisa.
I sismologi della Sala di Sorveglianza Sismica valutano velocemente queste stime, analizzano i dati, individuano i tempi con cui le onde P ed S arrivano alle diverse stazioni ed elaborano una localizzazione ed una magnitudo estremamente precise che vengono comunicate al Dipartimento della Protezione Civile entro 30 minuti dall’evento (in media dopo circa 10-15 minuti). Per alcuni eventi i tempi possono essere un po’ più lunghi, ma mai oltre i 30 minuti. E’ il caso di alcuni terremoti che avvengono in mare, in aree vulcaniche o in zone geologicamente complesse.
Dal 4 settembre 2018, l’INGV pubblica in tempo reale sul canale Twitter @INGVterremoti le localizzazioni preliminari dei terremoti calcolate in modo automatico dalla Sala di Sorveglianza Sismica di Roma. Un paio di minuti dopo il terremoto, per gli eventi sismici di magnitudo superiore a 3, viene rilasciato un tweet con la stima automatica dell’epicentro e della magnitudo. Ciò solo nel caso in cui i parametri di qualità indichino che le informazioni preliminari sono sufficientemente affidabili. Questa informazione viene “twittata” a margine della comunicazione che la Sala di Sorveglianza Sismica dell’INGV fa al Dipartimento della Protezione Civile.

La localizzazione e la magnitudo automatiche sono calcolate dal software senza intervento umano e sono dunque soggette alle incertezze delle coordinate ipocentrali e della magnitudo insite al sistema di calcolo.
Dal 19 giugno 2019, la localizzazione e la magnitudo automatiche sono pubbliche anche sulla pagina web http://terremoti.ingv.it, mentre non lo sono ancora sulla pagina Facebook INGVterremoti e nell’applicazione per iPhone INGVterremoti.
Maggiori informazioni sono disponibili qui.
Se sei iscritto a Twitter ed hai installata l’App Twitter sul tuo telefono, ti invitiamo a seguire @ingvterremoti.
Il servizio consiste essenzialmente nel rapido rilascio di un tweet con i parametri principali di un terremoto (data, ora, epicentro, profondità, magnitudo) di magnitudo ML≥2.0 non appena vengono calcolati dai sismologi della Sala di Monitoraggio Sismico dell’INGV.
Tramite Twitter è possibile inoltre attivare le notifiche sul telefono/computer per essere avvertiti immediatamente dopo che il dato è disponibile.
Istruzioni per l’iPhone
Trova @ingvterremoti dall’App Twitter del tuo dispositivo. Premi su Segui @ingvterremoti
Premi sull’icona “Impostazioni”
Premi il pulsante Attiva le notifiche
Istruzioni per Android
Trova @ingvterremoti dall’App Twitter del tuo dispositivo. Premi su Segui @ingvterremoti
Premi sulla stella, che diventerà gialla attivando le notifiche
Di solito i terremoti avvengono in zone già colpite in passato, dove lo sforzo tettonico causato dal movimento delle placche, in cui è suddiviso il guscio esterno della Terra, è maggiore. Ne consegue che anche l’accumulo sotterraneo di energia e deformazione è più grande.
L’Italia è situata al margine di convergenza tra due grandi placche, quella africana e quella euroasiatica. Il movimento relativo tra queste due placche causa l’accumulo di energia e deformazione che occasionalmente vengono rilasciati sotto forma di terremoti di varia entità.
In Italia i terremoti più forti si sono verificati in Sicilia, nelle Alpi orientali e lungo gli Appennini centro-meridionali, dall’Abruzzo alla Calabria. Ma sono avvenuti terremoti importanti anche nell’Appennino centro-settentrionale e nel Gargano. Dall’anno 1000 al 2017 ci sono stati circa 250 terremoti di magnitudo Mw pari o superiore a 5.5 – in media uno ogni quattro anni (CPTI15).
I terremoti recenti sono distribuiti maggiormente proprio in quelle zone che in passato hanno conosciuto i massimi valori di intensità sismica e quindi, i terremoti tendono a ripetersi sempre negli stessi posti. Negli ultimi 35 anni la Rete Sismica Nazionale ha registrato più di 360.000 terremoti in Italia e nei Paesi confinanti, la maggior parte dei quali non è stata avvertita dalla popolazione e sono 48 i terremoti che hanno avuto una magnitudo Richter ML pari o superiore a 5.0. I più forti terremoti di questo periodo (Mw≥5.8) sono avvenuti nel 1997 in Umbria-Marche, nel 2009 in Abruzzo, nel 2012 in Emilia Romagna, e in Italia centrale nel 2016-17.

Confrontando le due mappe, può sembrare che in questi ultimi anni siano avvenuti più terremoti che in passato. In realtà l’implementazione e lo sviluppo tecnologico della rete di monitoraggio sismico, avvenuti dopo il 1980, hanno permesso di registrare terremoti sempre più piccoli, quasi impercettibili. Questi terremoti avvenivano certamente anche in passato, ma non esistevano strumenti per registrarli e quindi non ne è rimasta traccia.
Dal 1900 ad oggi si sono verificati 43 terremoti molto forti (Mw≥5.8), alcuni dei quali sono stati catastrofici. Qui di seguito li riportiamo in ordine cronologico. I più forti tra questi sono il terremoto che nel 1908 distrusse Messina e Reggio Calabria e quello della Marsica del 1915.
Data | Area | Intensità | Mw | ||
1905 | 09 | 08 | Calabria centrale | X-XI | 7,0 |
1907 | 10 | 23 | Aspromonte | VIII-IX | 6,0 |
1908 | 12 | 28 | Stretto di Messina | XI | 7,1 |
1910 | 06 | 07 | Irpinia-Basilicata | VIII | 5,8 |
1915 | 01 | 13 | Marsica | XI | 7,1 |
1916 | 05 | 17 | Riminese | VIII | 5,8 |
1916 | 08 | 16 | Riminese | VIII | 5,8 |
1917 | 04 | 26 | Alta Valtiberina | IX-X | 6,0 |
1918 | 11 | 10 | Appennino forlivese | IX | 6,0 |
1919 | 06 | 29 | Mugello | X | 6,4 |
1920 | 09 | 07 | Garfagnana | X | 6,5 |
1928 | 03 | 27 | Carnia | IX | 6,0 |
1928 | 03 | 07 | Calabria centro-meridionale | VII-VIII | 5,9 |
1930 | 07 | 23 | Irpinia | X | 6,7 |
1930 | 10 | 30 | Senigallia | VIII | 5,8 |
1933 | 09 | 26 | Maiella | IX | 5,9 |
1936 | 10 | 18 | Alpago Cansiglio | IX | 6,1 |
1941 | 03 | 16 | Tirreno meridionale | VII | 5,9 |
1946 | 01 | 25 | Vallese, Sierre | VIII | 5,8 |
1962 | 08 | 21 | Irpinia | IX | 6,2 |
1963 | 07 | 19 | Mar Ligure | – | 6,0 |
1968 | 01 | 15 | Valle del Belice | X | 6,4 |
1976 | 05 | 06 | Friuli | IX-X | 6,5 |
1976 | 09 | 15 | Friuli | VIII-IX | 6,0 |
1976 | 09 | 15 | Friuli | 5,9 | |
1977 | 12 | 30 | Golfo di Policastro | 5,9 | |
1978 | 04 | 15 | Golfo di Patti | VIII | 6,0 |
1978 | 12 | 27 | Tirreno centrale | – | 5,9 |
1979 | 09 | 19 | Valnerina | VIII-IX | 5,8 |
1980 | 11 | 23 | Irpinia-Basilicata | X | 6,8 |
1984 | 05 | 07 | Monti della Meta | VIII | 5,9 |
1990 | 05 | 05 | Potentino | 5,8 | |
1994 | 01 | 05 | Tirreno meridionale | 5,8 | |
1997 | 09 | 26 | Appennino umbro-marchigiano | VIII-IX | 6,0 |
2002 | 09 | 06 | Tirreno meridionale | VI | 5,9 |
2006 | 10 | 26 | Tirreno meridionale | 5,8 | |
2009 | 04 | 06 | Aquilano | IX-X | 6,3 |
2012 | 05 | 20 | Pianura emiliana | VII | 6,1 |
2012 | 05 | 29 | Pianura emiliana | VII-VIII | 5,9 |
2016 | 08 | 24 | Monti della Laga | X | 6,2 |
2016 | 10 | 26 | Valnerina | 6,1 | |
2016 | 10 | 28 | Tirreno meridionale | 5,8 | |
2016 | 10 | 30 | Valnerina | 6,6 |
I terremoti avvenuti in Italia dal 1900 ad oggi di magnitudo Mw≥5.8 (Dati: CPTI15).
Per conoscere l’impatto che i terremoti del passato hanno avuto sul territorio è possibile consultare il Database Macrosismico Italiano 2015 (v. 2.0) che riporta i valori di intensità di oltre 3200 terremoti avvenuti in Italia dall’anno 1000 al 2017. Il Catalogo Parametrico dei Terremoti Italiani 2015 (v. 2.0) poi riporta i dati di oltre 4700 terremoti avvenuti in Italia dall’anno 1000 al 2017.
Il due database si possono consultare facendo:
1) una ricerca per terremoto. L’interfaccia di consultazione è molto semplice: cliccando su un terremoto in elenco vengono visualizzati su mappa interattiva tutti i dati di intensità disponibili su quel singolo terremoto.

2) una ricerca per singola località. Questo tipo di consultazione permette di visualizzare le storie sismiche di sito, cioè gli effetti osservati e documentati per i terremoti che hanno interessato una località.

Tutte le mappe e le tabelle del database sono interattive, liberamente consultabili, interrogabili e scaricabili.
Con pericolosità sismica si intende lo scuotimento del suolo atteso in un sito a causa di un terremoto. Essendo prevalentemente un’analisi di tipo probabilistico, si può definire un certo scuotimento solo associato alla probabilità di accadimento nel prossimo futuro. Non si tratta pertanto di previsione deterministica dei terremoti, obiettivo lungi dal poter essere raggiunto ancora in tutto il mondo, né del massimo terremoto possibile in un’area, in quanto il terremoto massimo ha comunque probabilità di verificarsi molto basse.
Nel 2004 è stata rilasciata questa mappa della pericolosità sismica (http://zonesismiche.mi.ingv.it) che fornisce un quadro delle aree più pericolose in Italia. La mappa di pericolosità sismica del territorio nazionale (GdL MPS, 2004; rif. Ordinanza PCM del 28 aprile 2006, n. 3519, All. 1b) è espressa in termini di accelerazione orizzontale del suolo con probabilità di eccedenza del 10% in 50 anni, riferita a suoli rigidi (Vs30>800 m/s; cat. A, punto 3.2.1 del D.M. 14.09.2005). L’Ordinanza PCM n. 3519/2006 ha reso tale mappa uno strumento ufficiale di riferimento per il territorio nazionale.
Nel 2008 sono state aggiornate le Norme Tecniche per le Costruzioni: per ogni luogo del territorio nazionale l’azione sismica da considerare nella progettazione si basa su questa stima di pericolosità opportunamente corretta per tenere conto delle effettive caratteristiche del suolo a livello locale.

I colori indicano i diversi valori di accelerazione del terreno che hanno una probabilità del 10% di essere superati in 50 anni. Indicativamente i colori associati ad accelerazioni più basse indicano zone meno pericolose, dove la frequenza di terremoti più forti è minore rispetto a quelle più pericolose, ma questo non significa che non possano verificarsi.
Gli scuotimenti più forti, con valori delle accelerazioni del suolo superiori a 0.225 g (g = 9,81 m/s2, accelerazione di gravità), sono attesi in Calabria, Sicilia sud-orientale, Friuli-Venezia Giulia e lungo tutto l’Appennino centro-meridionale. Valori medi sono riferiti alla Penisola Salentina, lungo la costa tirrenica tra Toscana e Lazio, in Liguria, in gran parte della Pianura Padana e lungo l’intero Arco Alpino. La Sardegna è la regione meno pericolosa con valori di scuotimento atteso moderati.
Ai fini di prevenzione, fino al 2008, i valori probabilistici di pericolosità sono stati semplificati in classi, ad ognuna delle quali corrispondevano i parametri per la progettazione degli edifici.
Successivamente le Norme Tecniche per le Costruzioni hanno imposto invece criteri di progettazione riferiti direttamente ai valori della mappa di pericolosità per ogni luogo del territorio nazionale. La zonazione sismica resta in vigore come strumento amministrativo delle Regioni, per politiche di prevenzione, interventi di riduzione del rischio, studi sulla valutazione della vulnerabilità degli edifici o di risposta del terreno (microzonazione). Le Regioni, secondo indirizzi e criteri stabiliti a livello nazionale, possono modificare la classificazione del proprio territorio.
Il territorio italiano è suddiviso in 4 zone:
- zona 1 dove forti terremoti sono molto probabili;
- zona 2 e zona 3 con eventi forti e mediamente poco frequenti, o terremoti moderati ma frequenti;
- zona 4 con rari eventi di energia moderata. Forti terremoti, seppur molto rari, sono comunque possibili.
Generalizzando, gli edifici in zona 1 devono essere capaci di resistere, senza crollare, ad un forte terremoto e ancor più a terremoti di energia inferiore. In zona 4 è necessario almeno tutelare la sicurezza di edifici strategici e di elevato affollamento.
Il rischio sismico è la stima del danno atteso come conseguenza dei terremoti che potrebbero verificarsi in una data area e dipende da:
- pericolosità dell’area, cioè lo scuotimento sismico che è ragionevole attendersi in un dato intervallo di tempo;
- esposizione, cioè la presenza di persone e cose che potrebbero essere danneggiate (edifici, infrastrutture, attività economiche…);
- vulnerabilità degli edifici e delle infrastrutture dell’area, cioè la loro maggiore o minore propensione a essere danneggiati dai terremoti.
Una zona a pericolosità sismica molto elevata, ma priva di attività umane ha un rischio sismico molto basso. Al contrario, una zona a pericolosità sismica bassa, ma molto popolata, o i cui edifici siano mal costruiti o mal conservati, ha un livello di rischio sismico molto elevato, poiché anche un terremoto moderato potrebbe produrre conseguenze gravi.
La vulnerabilità degli edifici, che dipende dal tipo di costruzione e dal suo livello di manutenzione, resta il fattore principale su cui si può intervenire per ridurre il rischio da terremoto di ogni zona.

In questa pagina sono disponibili le schede informative “Speciale REGIONE” sul rischio sismico di alcune Regioni italiane, un’appendice regionale al volume “Terremoti come e perché” realizzato dal progetto EDURISK (www.edurisk.it).

Le schede contengono informazioni sulla sismicità storica e recente, sulla storia della classificazione sismica, sulla pericolosità e sul rischio sia a scala nazionale che regionale. Le schede sono corredate da materiale iconografico, mappe, grafici e tabelle, e da informazioni essenziali sulle reti di monitoraggio sismico e sul Servizio Nazionale di Protezione Civile.
Ciascuna scheda informativa è divisa in varie sezioni: la doppia facciata di apertura racconta un terremoto storico di riferimento per il territorio regionale (in qualche caso più terremoti combinati insieme). L’impatto di questo terremoto viene illustrato attraverso mappe, foto, immagini d’epoca, frammenti di cronaca e documenti storici. Inoltre vengono visualizzati i grafici delle storie sismiche delle località più significative.

Le successive quattro facciate illustrano sismicità storica e recente, pericolosità, zone sismiche e stime di rischio.
La sezione “sismicità storica e recente” fornisce una descrizione dei forti terremoti del passato che hanno interessato il territorio regionale e la sismicità degli ultimi 30 anni registrata dalla Rete Sismica Nazionale. Nella sezione ” pericolosità sismica” è descritta la mappa di pericolosità sismica nazionale che fornisce un quadro delle aree più pericolose in Italia, con un approfondimento sulle caratteristiche della pericolosità sismica regionale.

La sezione “zone sismiche” descrive il significato che ha assunto, dal 2008 in poi, la suddivisione in zone sismiche, in relazione alla storia della classificazione sismica. Nella sezione “rischio sismico” si forniscono gli elementi concettuali essenziali che lo definiscono, oltre a segnalare la campagna “Io non rischio”, iniziativa propriamente dedicata alla riduzione del rischio.

La scheda si chiude con alcune informazioni sull’organizzazione del Servizio Nazionale di Protezione Civile, sul sistema di monitoraggio sismico dell’INGV, e con i riferimenti essenziali alle strutture in ambito nazionale e regionale.
Le prime 10 schede sono disponibili (in formato PDF) e scaricabili cliccando sulla copertina della scheda.
Dopo un terremoto sul territorio nazionale di particolare rilevanza, generalmente per magnitudo locale ML uguale o superiore a 5.0, o in caso di sequenze sismiche prolungate, l’INGV mette in atto, nel più breve tempo possibile, una serie di azioni sul campo e in sede volte ad approfondire la comprensione del fenomeno in atto e fornire supporto agli interventi di Protezione Civile.
Si attivano l’Unità di Crisi e i Gruppi Operativi di Emergenza seguendo precisi protocolli operativi. L’INGV dispone attualmente di 5 Gruppi Operativi:
- SISMIKO che si occupa di installare una rete sismica temporanea per migliorare le localizzazioni della sequenza in corso;
- EMERGEO che si occupa del rilievo degli effetti geologici cosismici;
- EMERSITO per lo studio degli effetti di sito;
- QUEST per il rilievo macrosismico;
- IES che si occupa delle attività informative per le scuole e la popolazione coinvolta.
Le attività dei Gruppi Operativi INGV sono codificate nell’ambito di protocolli interni e prevedono delle azioni da svolgere in caso di emergenza, innescate dal messaggio (Sms o email) che tutti i coordinatori nazionali ricevono per la comunicazione dei parametri preliminari automatici dell’evento sismico a pochi minuti dal suo accadimento.
Tutte le informazioni raccolte durante un’emergenza sismica vengono integrate ed elaborate per diventare strumento utile a chi opera per l’emergenza, ad es. il Dipartimento della Protezione Civile (DPC). Essendo l’INGV uno dei Centri di Competenza del Dipartimento, può attivare anche il Centro Operativo Emergenza Sismica (COES), dove personale INGV agevola la raccolta e l’immediata e capillare diffusione dei dati raccolti.
L’ultima emergenza significativa è stata quella in Italia centrale, iniziata il 24 agosto 2016 con il terremoto di magnitudo Mw 6.0 avvenuto tra i comuni di Amatrice, Accumoli, Arquata del Tronto, tra le province di Rieti e Ascoli Piceno. In quell’occasione, come previsto nell’Accordo vigente tra l’INGV e il Dipartimento di Protezione Civile, si sono subito attivati l’Unità di Crisi, i Gruppi Operativi di Emergenza e tutto il personale coinvolto in attività di emergenza. In quell’occasione, a soli 4 giorni dall’evento sismico del 24 agosto 2016, il DPC ha istituito la Direzione di Comando e Controllo (Di.Coma.C., il centro di coordinamento nazionale delle Componenti e delle Strutture Operative di protezione civile sul territorio interessato dal sisma) presso la ex sede INPDAP a Rieti. Al suo interno, insieme ad altri Centri di Competenza, l’INGV ha attivato il COES, rimasto operativo fino alla chiusura dell’intera struttura 7 mesi dopo.
Il COES è stato progettato e realizzato per essere una struttura polifunzionale e modulabile in relazione alle esigenze del pronto intervento, con funzioni di presidio tecnico-scientifico in area epicentrale. Scopo principale è quello di supportare il personale INGV impegnato in tutte le operazioni di campagna, al supporto scientifico ed informativo ai colleghi dell’INGV, ma anche agli operatori di soccorso impegnati nell’emergenza (Vigili del Fuoco, Associazioni di Volontariato, Forze dell’Ordine, Esercito, ecc), ai dipendenti delle Amministrazioni Locali e degli Uffici Pubblici e alla popolazione colpita dall’evento.
Il continuo aggiornamento dei Protocolli di cui l’INGV si avvale si basa sulle numerose esperienze di intervento post-sismico affrontate negli ultimi 20 anni, dall’Umbria-Marche nel 1997-1998 in poi. Tutte le esperienze passate, comprese le esercitazioni periodiche, sono molto importanti perché hanno permesso di aggiungere un ulteriore tassello ad un lungo percorso che consente al personale dell’INGV di affrontare più preparato ogni emergenza.
Ovviamente in situazioni di emergenza è fondamentale la comunicazione, che ha come obiettivo primario quello di fornire, in tempi veloci, informazioni corrette e comprensibili al cittadino, utilizzando tutti i media disponibili: i canali social, come Twitter, Facebook INGVterremoti, l’App INGVterremoti e i blog INGV.
I Gruppi Operativi di Emergenza
Una breve descrizione dei 5 Gruppi Operativi INGV che vengono attivati in caso di un’emergenza viene di seguito riportata.
SISMIKO
SISMIKO rappresenta il coordinamento delle Reti Sismiche Mobili INGV in emergenza. Installare una rete sismica temporanea ad integrazione di quelle permanenti presenti in un’area colpita da una emergenza sismica o vulcanica, consente di migliorare notevolmente il monitoraggio ottimizzando la capacità di detezione degli eventi sismici e la qualità delle loro localizzazione. Ciò permette nell’immediato di contribuire al servizio di sorveglianza sismica seguendo con maggiore dettaglio l’evoluzione spazio-temporale delle sequenze sismiche e a posteriori di aumentare le conoscenze scientifiche dell’area interessata.
E’ compito di SISMIKO anche l’allestimento e la gestione del Centro Operativo Emergenza Sismica (COES), il presidio dell’INGV a supporto delle squadre operative di emergenza e punto di riferimento per tutti gli operatori di Protezione Civile, dei soccorritori, della popolazione e degli organi di stampa impegnati in area epicentrale.
EMERSITO
I ricercatori dell’INGV impegnati nella valutazione della risposta sismica locale (effetti di sito) intervengono in emergenza con l’installazione di stazioni sismiche remote in occasione degli eventi sismici più importanti. Si occupano inoltre delle attività propedeutiche alla microzonazione sismica nelle aree colpite da un terremoto. L’intervento è finalizzato allo studio dell’amplificazione delle onde sismiche legata alle particolari caratteristiche di diversi terreni. Le attività vengono impostate in coordinamento con quelle dei Gruppi Operativi SISMIKO, EMERGEO e QUEST.
EMERGEO è un Gruppo Operativo trasversale alle Sezioni INGV che comprende personale esperto nel campo della geologia del terremoto. Tale gruppo ha l’obiettivo di intervenire durante un’emergenza sismica per raccogliere dati geologici di terreno relativi agli effetti prodotti in superficie da terremoti di magnitudo prossima o superiore a 5.5 in Italia e nell’area mediterranea. Tra i principali effetti geologici cosismici, sia primari che secondari, vi sono: fagliazione e fratturazione superficiale, effetti permanenti sulla morfologia del terreno, fenomeni di liquefazione, frane, potenziali fenomeni di instabilità. Le fenomenologie verificatesi nel corso di questi anni hanno portato EMERGEO ad occuparsi anche del rilievo degli effetti dei maremoti sulle aree costiere e della fagliazione superficiale in ambiente vulcanico.
QUEST (QUick Earthquake Survey Team) è un Gruppo Operativo costituto da un team di esperti dell’INGV dedicato al rilievo macrosismico post-terremoto con lo scopo di fornire, rapidamente ed univocamente, il quadro degli effetti nell’area colpita da un evento sismico, a supporto degli interventi di Protezione Civile e della comunità scientifica. QUEST, una volta assolte le funzioni di supporto più urgenti (o contestualmente), procede alla raccolta e alla elaborazione di dati per finalità più propriamente scientifiche, operazione che riveste una urgenza analoga, in quanto, una volta conclusi gli interventi di messa in sicurezza degli edifici, gli effetti dell’evento non saranno più univocamente leggibili.
IES: Informazione in Emergenza Sismica
Il terremoto genera sempre un grande bisogno di informazione e conoscenza da parte dei cittadini: sulle caratteristiche del fenomeno fisico e i suoi effetti, sui comportamenti corretti da adottare in situazioni di rischio, sulle iniziative messe in campo per superare l’emergenza. Questo bisogno si è manifestato in modo rilevante durante la sequenza in Abruzzo del 2009, in occasione della sequenza sismica emiliana del 2012 e quella dell’Italia centrale del 2016-2017.
Ogni emergenza genera comprensibilmente apprensione e una forte richiesta di notizie chiare e attendibili tra la popolazione sia su aspetti scientifici che operativi. Per questa ragione, gli incontri del Gruppo Operativo IES vedono il coinvolgimento di sismologi, psicologi, esperti con competenze ingegneristiche, organizzazioni di volontariato e rappresentanti del Sistema Sanitario Regionale competente per gli interventi di supporto psico-sociale.
Importante è anche il supporto al mondo della scuola che consente agli insegnanti di acquisire, conoscenze, strumenti e competenze minime per gestire individualmente la fase dell’emergenza e affrontare, nel miglior modo possibile, la ripresa delle attività didattiche, con la consapevolezza di poter assumere un ruolo più attivo nel fornire supporto psicologico a bambini e ragazzi durante l’emergenza.
Altre attività in sede
Elaborazione dati sismologici, Elaborazione dati statistici, Elaborazione dati GPS, Elaborazione dati SAR da satellite, Elaborazioni congiunte.
5 thoughts on “Alla scoperta dei terremoti”
Comments are closed.