“Le autorità sono sul posto: la popolazione è calma”. Il terremoto dell’Alpago Cansiglio del 18 ottobre 1936

Pietro Caloi (1907-1978), uno dei più grandi sismologi italiani, divenuto noto al pubblico per la sua controversa consulenza sulla vicenda del Vajont, nell’ottobre del 1936 era assistente presso l’Istituto Geofisico di Trieste; la notte del 18 ottobre, alle 4:10 ora locale, fu svegliato, come tutti i triestini, da una forte scossa di terremoto. “Mezz’ora dopo la scossa, valendomi dei sismogrammi […] potevo constatare che il terremoto aveva avuto origine a 115 km da Trieste […] ai giornalisti accorsi potevo quindi annunciare che i luoghi più colpiti dovevano trovarsi tra Aviano e Belluno […]” [Caloi, 1937].

Un rapido sopralluogo nell’area epicentrale gli permise di verificare l’area di maggior danneggiamento nella zona dell’Alpago, in prossimità del lago di Santa Croce, nell’area di confine fra le provincie di Belluno e Pordenone, in particolare a Puos d’Alpago e Cornei, oltre che più a sud nelle località di Caneva, Stevenà e Fiaschetti.

Caloi non fu l’unico sismologo a visitare le zone danneggiate. Il lavoro più accurato di verifica e analisi degli effetti di questo importante terremoto lo si deve a Giuseppe Andreotti (1881-1954), professore di fisica terrestre all’Università di Padova, che visitò l’area colpita dal terremoto dal 3 al 7 novembre e il 27 dicembre presentò una memoria all’adunanza dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere e Arti, ricchissima di dati, osservazioni e un interessante corredo fotografico (Fig. 1), memoria pubblicata qualche mese dopo [Andreotti, 1937].

La spedizione e il resoconto di Andreotti, su cui si basano tutti gli studi successivi, hanno tutte le caratteristiche di un moderno rilievo macrosismico‘, finalizzato alla verifica diretta e classificazione degli effetti di danneggiamento e a delimitare l’area di avvertimento. Oltre all’osservazione diretta degli effetti, Andreotti raccolse informazioni da quelle che lui stesso definì “fonti autorevoli […] Ingegneri, Parroci, Podestà”.

Il testo analizza le caratteristiche del patrimonio edilizio interessato, sintetizza alcune informazioni sull’evoluzione della sequenza, formula una stima dell’intensità macrosismica per ciascuna località in termini di scala Mercalli (poi rappresentata in formato cartografico, Fig. 2), oltre a raccogliere informazioni su effetti geologici di superficie: spaccature, frane, ecc. Il tutto gli consentì di localizzare l’epicentro del terremoto stesso e di stimarne la profondità. Insomma, esattamente quello che facciamo anche oggi per ogni terremoto importante.

Una osservazione che testimonia la modernità dell’approccio di Andreotti riguarda la forte irregolarità della distribuzione degli effetti di massimo danneggiamento. Si osservano infatti due zone di massimi effetti, stimati intorno al IX grado della scala, nella Conca d’Alpago e nella zona pedemontana del Cansiglio. Irregolarità, sostiene Andreotti, attribuibili non solo all’entità dello scuotimento, ma anche alla qualità costruttiva degli edifici (quella che chiamiamo vulnerabilità) e “alla natura del terreno” (effetti di sito).

Ma torniamo al racconto di questo terremoto.

Vedute di crollo a Villa di Villa e a Stevenà
Fig. 1 – Vedute di un crollo totale a Villa di Villa (Cordignano) e di uno parziale a Stevenà [Andreotti, 1937].
A Puos d’Alpago, allora Comune autonomo, circa il 50% delle case risultò inagibile, e tutte le altre comunque lesionate. Nella frazione Cornei i danni furono ancora più gravi, con circa il 70% di case inagibili e danni molto gravi alla chiesa. Danni analoghi si ebbero a Villa, allora frazione del Comune di Pieve d’Alpago. Circa 30 case crollate e 150 inagibili si ebbero a Villa di Villa, frazione del Comune di Cordignano (TV) [Fig. 1]

Secondo il resoconto di Andreotti le altre località con danni più gravi risultarono due frazioni del Comune di Caneva (PN): Stevenà, con quasi 200 case inagibili, e Fiaschetti, con quasi tutte le case ‘rovinate’.

La stessa città di Belluno, già danneggiata per il terremoto del 1873, subì danni, e come allora il danno maggiore si ebbe nella parte alta della città, nella zona di Piazza Duomo e Piazza del Mercato.

Danni diffusi e molte case inagibili si ebbero anche a Vittorio Veneto; decisamente moderati, anche se diffusi, furono i danni osservati a Conegliano.

Fig. 2 – La mappa dell’impatto del terremoto con il tracciamento delle ‘isosiste’ per i gradi di intensità più elevati [Andreotti, 1937] e la più recente mappa delle intensità [Locati et al., 2021] sulla base dello studio di Barbano et al. (1986). Uno studio di questo terremoto è presente anche in Guidoboni et al. (2018).
Il terremoto fu avvertito in modo molto sensibile in tutta l’Italia nord-orientale, a sud in Emilia e nelle Marche, più a nord fino in Slovenia, Austria e Svizzera.

I materiali costruttivi

Come accennato, nel testo non mancano notazioni sulle caratteristiche di vulnerabilità del patrimonio danneggiato, che l’autore tende a identificare soprattutto con la qualità dei materiali costruttivi. La valutazione complessiva è che “pessima resistenza in generale hanno presentato gli abitati costruiti con sassi alluvionali, buona quelli costruiti con mattoni, ottima quella delle costruzione con anelli in cemento armato”.

Immagini di crolli
Fig. 3 – Alcune immagini di crolli nella zona di Cordignano, Villa e Sarmede.

Nella documentazione fotografica disponibile (Fig. 3), compresa quella inserita nella memoria di Andreotti è ben riconoscibile l’utilizzo nelle murature degli edifici crollati di ciottoli arrotondati e pietrame irregolare, così come appare evidente la precarietà degli elementi orizzontali, l’assenza di collegamenti e di vincoli. Sono completamente assenti, in particolare, le catene, tanto utilizzate negli interventi di riparazione o ricostruzione nei paesi dell’Appennino Settentrionale, dopo i terremoti degli anni 1916-1920. Evidentemente il precedente terremoto, relativamente prossimo del 1873, non ha innescato pratiche di miglioramento sismico che avrebbero potuto limitare sensibilmente l’impatto di questo terremoto. Tutto questo ha a che fare con il tema delle norme costruttive su cui torniamo più avanti.

Le vittime

Vi furono alcune decine di feriti e complessivamente 19 vittime, particolarmente nelle frazioni di Caneva: sette a Fiaschetti (due adulti e cinque minori, tutti dello stesso nucleo familiare) e otto a Stevenà (due nuclei familiari conviventi nella stessa casa). Una vittima si ebbe rispettivamente a Coltura, Fontaniva e San Giovanni (frazioni di Polcenigo), e a Conegliano.

La sequenza

Secondo le informazioni raccolte da Andreotti, una scossa ‘sensibile’ fu avvertita all’una di notte, tre ore prima della scossa principale, a Vittorio Veneto, notizia riferita dal rettore del locale Seminario; dalla verifica delle fonti giornalistiche non emerge traccia di avvertimento in altre località.

Numerose repliche furono avvertite nei giorni e nei mesi successivi, fino a marzo 1937.

Le notizie

Violenta scossa di terremoto. Quindici morti a Sacile. Roma, 19 ottobre. Ieri notte, alle ore 4, in tutta la Venezia Euganea si è sentita una fortissima scossa di terremoto. Ci sono stati leggeri danni a fabbricati: solo in alcune frazioni del Comune di Sacile, a causa della rovina di vecchie case, si deplorano 15 morti ed alcuni feriti. Le autorità sono sul posto: la popolazione è calma (Stefani)” [Corriere della Sera, 19 ottobre 1936]

Lo stesso dispaccio dell’agenzia Stefani è pubblicato da La Stampa del 19 ottobre e dal giornale cremonese Il Regime Fascista del 20 ottobre.

Un resoconto relativamente dettagliato degli effetti del terremoto – alcune decine di righe, su una colonna, nascoste dai titoli cubitali su iniziative politiche o vicende più futili – è in prima pagina su Stampa Sera del 19 ottobre. La stessa fredda elencazione di località, danni, feriti, vittime e prime stime economiche, a poco più di 24 ore dall’evento e firmato dall’agenzia Stefani – fedele espressione e custode dell’informazione di regime -, viene pubblicata contemporaneamente da Il Regime Fascista e dal Corriere della Sera il giorno successivo, 20 ottobre.

I resoconti dei giornali nazionali, in particolare del Corriere della Sera e de La Stampa, sono estremamente ridotti, sia di numero che di contenuti, e nel giro di pochi giorni il terremoto sparisce dalla cronaca.

Titoli e occhielli dei pochi articoli pubblicati sottolineano in continuazione e con enfasi l’attenzione e la determinazione del Duce di fronte a questo evento: “L’opera di soccorso disposta dal Duce” (Stampa Sera, 19 ottobre), “Le disposizioni del Duce per le immediate provvidenze” (Corriere della Sera, 20 ottobre), “La relazione al Duce sui soccorsi prestati ai danneggiati di Sacile” (Stampa Sera, 24 ottobre), “Un primo stanziamento di 15 milioni disposto dal Duce” (Corriere della Sera, 24 ottobre).

Nel racconto sulla stampa di questo terremoto emerge platealmente l’urgenza di rassicurare l’opinione pubblica, relativizzando gli effetti, enfatizzando la tempestività dei soccorsi, l’interessamento diretto da parte del Duce e i provvedimenti disposti immediatamente per il suo diretto intervento. Particolarmente ossessiva poi è la rassicurazione sulla tranquillità che caratterizza le popolazioni locali, espressa fin dal primo lancio dell’agenzia Stefani, che faticosamente prova a minimizzare l’impatto del terremoto (“vi sono stati scarsi danni ai fabbricati”), pur dovendo ammettere conseguenze più gravi: “solo in alcune frazioni del Comune di Sacile, a causa della rovina di vecchie case, si deplorano 15 morti e alcuni feriti”. Ma poi il comunicato si chiude con un rassicurante “le autorità sono sul posto, la popolazione è calma” [La Stampa, 19 ottobre]. Lo stesso testo viene riprodotto, il giorno stesso, dal Corriere della Sera.

Rispettivamente tre e quattro giorni dopo entrambi i quotidiani riferiscono dei primi provvedimenti orientati alla ricostruzione, a partire da un primo stanziamento di 15 milioni. Ed entrambi gli articoli si chiudono con la notazione: “l’atteggiamento della popolazione è di perfetta calma”.

La censura che limita drasticamente la circolazione delle informazioni a livello nazionale funziona decisamente meno sui giornali locali. Ne è un esempio un corposo e appassionato reportage sui luoghi del terremoto che occupa tutta la prima pagina del settimanale delle Organizzazioni Cattoliche della diocesi di Vittorio Veneto “L’Azione” del 24 ottobre. Quella prima pagina è riprodotta nel numero 41 del 16 ottobre 2016 dello stesso settimanale [www.lazione.it], che ha meritoriamente dedicato alcune pagine al ricordo di quell’evento, 80 anni dopo.

La gestione dell’emergenza

Operativamente già il 19 ottobre un funzionario del Ministero dei Lavori Pubblici viene inviato sul posto per verificare la situazione e coordinare i primi interventi, tornando poi a riferire direttamente al Duce e al Ministro delle Finanze nella serata del 23. Il giorno stesso il Ministero invia a Udine alcuni funzionari incaricati di gestire i lavori di messa in sicurezza e i primi interventi di riparazione.

Dentro e fuori

Quello dell’Alpago Cansiglio del 1936 è uno dei quattro importanti terremoti (magnitudo Mw>5.5) che si verificano in Italia durante negli anni ’30 del secolo scorso, ed è preceduto dal più forte di questi, il terremoto irpino del 23 luglio 1930 (Mw 6.7), dal terremoto di Senigallia del 30 ottobre dello stesso anno (Mw 5.8) e dal terremoto della Maiella del 26 settembre 1933 (Mw 5.9), terremoti che hanno messo a dura prova la capacità di risposta del regime, alimentando non poche tensioni.

Non è questo il luogo per fare la storia della normativa sismica in Italia. Tuttavia, nella seconda metà degli anni ’20 e negli anni ’30 del Novecento avvengono alcuni passaggi importanti, che vale la pena ricordare, pur senza entrare su importanti dettagli tecnici, che meritano certamente un approfondimento.

Il Regio Decreto n. 2089 del 23 Ottobre 1924 definisce le “norme tecniche ed igieniche per le riparazioni, ricostruzioni e nuove costruzioni” nei Comuni dichiarati zone sismiche. Tre anni dopo [RD 431 del 13/03/1927] viene introdotta una seconda categoria sismica, aggiornate le norme ed elencati Comuni e frazioni inseriti in 1a o 2a categoria; nella lista non compaiono Comuni veneti.

Sette anni dopo [RD 640 del 25/03/1935] vengono aggiornate ulteriormente le norme, “con speciali prescrizioni per le località colpite dai terremoti”; nell’aggiornamento della lista dei Comuni entrano alcuni Comuni della provincia di Udine, colpiti dal terremoto del 27 marzo 1928.

Nel 1937, pochi mesi dopo il terremoto di cui stiamo parlando, è il DM 23/03/1937 [Gazzetta Ufficiale n. 99 del 29/04/1937] ad elencare i Comuni colpiti dal terremoto del 18 ottobre 1936, ai quali sono applicabili le disposizioni del RD 28/12/1936, n. 2433. All’art. 1 viene esplicitata la lista dei Comuni in questione, delle provincie di Belluno, Treviso e Udine. Dall’elenco manca Conegliano, che verrà inserito di lì a poco nell’elenco nazionale [DL 22/11/1937 n. 2105].

Si tratta, come si può intuire, di una decisione importante che dovrà garantire una ricostruzione più sicura e che nei decenni successivi dovrebbe accompagnare il progressivo sviluppo urbanistico di territori che conosceranno una forte espansione. Basti pensare che Conegliano, ad es., fra il 1936 e il 1981 vedrà più che raddoppiare la sua popolazione e più in generale il territorio compreso fra Conegliano e Vittorio Veneto vedrà nascere un distretto industriale di grande importanza.

Fig. 4 – Il testo dell’articolo 1 del Decreto Ministeriale 23 marzo 1937 e gli interventi di declassificazione degli anni successivi per alcune località dell’area.

Le sorprese sono dietro l’angolo

Meno di un anno dopo la Gazzetta ufficiale [n. 137 del 30/08/1938] pubblica il DM 1/07/1938 “Cancellazione di alcuni Comuni delle provincie di Udine e Treviso dall’elenco dei Comuni nei quali è obbligatoria l’osservanza delle speciali norme tecniche di edilizia per le località sismiche”. E così i Comuni trevigiani di Conegliano, Folline, Gajarine, Revine Lago, Pieve di Soligo e il comune di Aviano (UD) vengono cancellati dall’elenco dei Comuni soggetti a normativa sismica. E tali resteranno fino all’inizio degli anni ’80.

Non che sia una storia che riguarda solo questi territori. A bruciare sul tempo Conegliano e gli altri è Rimini che, con il DM 27/07/1938, viene cancellato dall’elenco dei Comuni per i quali è obbligatoria l’osservanza di speciali norme tecniche di edilizia.

Le motivazioni di fondo che portano alle istanze di declassificazione e ai provvedimenti relativi sono chiaramente espresse in un DM [7/08/1941] dedicato alla cancellazione degli stessi elenchi di alcuni Comuni della provincia di Pesaro-Urbino: “ritenuto che la richiesta degli Enti […] si basa sulla considerazione che quella zona può considerarsi di sismicità leggera [..] e che, d’altra parte, l’assoggettamento delle norme del decreto citato costituisce un notevole intralcio allo sviluppo edilizio di quella zona…”.

Questa rincorsa alla cancellazione da vincoli normativi, considerati un ostacolo allo sviluppo economico, ha una appendice che di nuovo riguarda il territorio trevigiano, nel caso specifico Vittorio Veneto, che con il DM 15/09/1947 [Gazzetta Ufficiale n. 4 del 7/01/1948] ottiene a sua volta di essere ‘liberato’ dalla normativa sismica con motivazioni ancor più acrobatiche: “ritenuto che la richiesta del Comune si basa sulla considerazione che i danni causati dal terremoto del 1936 non hanno avuto caratteri di gravità e sono rimasti limitati alle case di vecchia ed irrazionale costruzione, e che d’altra parte l’assoggettamento a tali norme asismiche [sic!] costituisce un notevole intralcio alla costruzione di nuovi fabbricati e anche alla ricostruzione di quelli distrutti dalla guerra […] considerato che il territorio del comune di Vittorio Veneto ricade in zona dove non si riconoscono manifestazioni precedenti di ripetute intense violenze telluriche…”.

E così, mettendo insieme maldestramente considerazioni varie, ben poco sostenibili, fino al 1982 anche Vittorio Veneto sarà ‘libera’ da normativa sismica.

Una sismicità leggera

È semplice immaginare quanto sia facile, in un periodo storico tanto difficile come il ventennio e all’indomani di un conflitto mondiale, dimenticarsi di esperienze complesse come quella del terremoto del 1936. Quello che è sorprendente è l’insistenza con cui i politici locali fanno pressione sul governo centrale, a un anno dal terremoto stesso o al più tardi una decina di anni dopo, usando come argomentazione la presunta sismicità leggera o addirittura la convinzione che nell’area non si siano avute “manifestazioni precedenti di ripetute intense violenze telluriche”.

Figura 5 – Grafico della storia sismica di Conegliano e Vittorio Veneto (DBMI15, Locati et al., 2021). Il massimo livello di intensità macrosismica (VIII MCS) è stato raggiunto a Vittorio Veneto per il terremoto del 1936.

Ovviamente le cose non stanno così. Pur se le conoscenze della storia sismica dell’area sono drammaticamente limitate – e una limpida esemplificazione è nelle storie sismiche di Conegliano e Vittorio Veneto [Fig. 5] che mostrano un vuoto assoluto di conoscenze prima del 1695 -, l’area ha un livello di pericolosità importante. Storicamente l’Alpago-Cansiglio è stato interessato da diversi terremoti di energia moderata, che comunque hanno prodotto danni, per quanto leggeri, e da almeno tre eventi decisamente importanti: il terremoto pordenonese del 25 ottobre 1812 [Mw 5.6] che interessa principalmente la pianura, ma produce qualche danno anche nella zona dell’Alpago, il grande terremoto del 29 giugno 1873 [Mw 6.3], che produsse danni gravissimi nell’area, danneggiando seriamente anche Belluno, e infine il terremoto del 18 ottobre 1936 [Mw 6.1].

Figura 6 – Sismicità dell’area dell’Alpago-Cansiglio (CPTI15, Rovida et al., 2021).

Come si può ben vedere [Fig. 6], pur nell’evidente incompletezza delle informazioni disponibili, la sismicità dell’area è certamente importante, e di conseguenza la sua pericolosità. Il fatto che il periodo di maggior sviluppo urbanistico e industriale dell’area tra il secondo dopoguerra e l’inizio degli anni ’80 sia avvenuto, per buona parte di questi territori, in assenza di normativa sismica dovrebbe far tremare i polsi. Ma su questo torneremo.

A cura di Romano Camassi (INGV-BO) e Vera Pessina (INGV-MI).


Bibliografia

Andreotti G. (1937). Il terremoto del 18 ottobre 1936. Memorie del Reale istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Vol. XXX, n. 3, Venezia.

Barbano M.S., Gentile G.F., Riggio A.M. (1986). Il terremoto dell’Alpago-Cansiglio del 18.10.1936: metodologia e problematiche legate allo studio di eventi recenti. Atti del 5° Convegno Annuale del GNGTS, Roma, I, 47-60.

Caloi P. (1942). Attività sismica in Italia nel decennio 1930-1939, Pubblicazioni della “Commissione Italiana di Studio per i Problemi del Soccorso alle Popolazioni”, vol. 9. Firenze

Guidoboni E., Ferrari G., Mariotti D., Comastri A., Tarabusi G., Sgattoni G., Valensise G. (2018). CFTI5Med, Catalogo dei Forti Terremoti in Italia (461 a.C.-1997) e nell’area Mediterranea (760 a.C.-1500). Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV). https://doi.org/10.6092/ingv.it-cfti5

Locati M., Camassi R., Rovida A., Ercolani E., Bernardini F., Castelli V., Caracciolo C.H., Tertulliani A., Rossi A., Azzaro R., D’Amico S., Antonucci A. (2021). Database Macrosismico Italiano (DBMI15), versione 3.0. Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV). https://doi.org/10.13127/DBMI/DBMI15.3.

Rovida A., M. Locati, R. Camassi, B. Lolli, P. Gasperini, A. Antonucci, (2021). Catalogo Parametrico dei Terremoti Italiani (CPTI15), versione 3.0. Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV). https://doi.org/10.13127/CPTI/CPTI15.3.

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