Calore e terremoti

Il ruolo del campo termico nella geofisica ha radici profonde: con una visione semplificata, ma al contempo veritiera si può affermare che il calore sviluppato all’interno della Terra, attraverso i movimenti convettivi del mantello, sia in ultima analisi responsabile dell’occorrenza dei terremoti.

La faglia di San Andreas in California
La faglia di San Andreas in California

Abbandoniamo per il momento questa scala geodinamica globale e focalizziamo la nostra attenzione su una singola faglia sismogenetica (come quella nella foto), ovvero su quel complicato oggetto geofisico nel quale – come noto – si sviluppano fratture (di rocce intatte o variamente soggette a danneggiamenti interni), scorrimenti improvvisi (di rocce già fratturate) e vari fenomeni fisico-chimici che comportano l’emissione di energia, avvertita concretamente con il movimento del suolo (ground shaking). Oltre alla dissipazione dell’energia rilasciata sotto forma di onde elastiche (indubbiamente la più spettacolare e al contempo la più drammaticamente nota), un sisma rilascia energia anche sotto forma di calore. È ben noto anche dalle più banali applicazioni ingegneristiche e meccaniche che due corpi che scorrono l’uno rispetto all’altro e mantenuti in mutuo contatto sviluppano calore per effetto dell’attrito (frictional heat) che si esercita sull’interfaccia di scorrimento. Nello stesso modo le rocce che scorrono durante un terremoto (o più esattamente le micro-asperitità di contatto dei materiali rocciosi che scorrono l’uno rispetto all’altro in un evento improvviso di instabilità dinamica) si scaldano sfregando le une contro le altre. L’energia che ne deriva è appunto calore, che si ridistribuisce in vario modo nell’ambiente circostante.

Oltre a rappresentare un importante ruolo nel condizionare l’ambiente chimico del sistema faglia (e in ultima analisi a innescare reazioni chimiche attivate termicamente), il calore prodotto per attrito – che essenzialmente è direttamente proporzionale alla velocità di scorrimento e all’attrito resistivo che si oppone al moto – è causa di numerosi processi fisici che poi hanno un ruolo determinante nella caratterizzazione del terremoto stesso, dell’energia sismica rilasciata, della sua magnitudo, ecc. (il lettore interessato può reperire utili approfondimenti e discussioni in Bizzarri, 2011b).

Figura 1. Dettaglio di vene di pseudotachilite (regioni scure indicate dalle frecce) che in seguito all’ evento sismico vengono “iniettate“ nelle rocce incassanti che circondano la faglia (evidenziata dalla linea rossa tratteggiata). Tratta da Pittarello et al. ( 2008 )
Figura 1. Dettaglio di vene di pseudotachilite (regioni scure indicate dalle frecce) che in seguito all’ evento sismico vengono “iniettate“ nelle rocce incassanti che circondano la faglia (evidenziata dalla linea
rossa tratteggiata). Tratta da Pittarello et al. ( 2008 )

Uno dei numerosi effetti del cambiamento del campo termico è quello della fusione delle rocce e dei frammenti (breccia di faglia o gouge) che si frappongono tra le rocce in mutuo scorrimento (si veda ad esempio, Bizzarri, 2011a e i riferimenti bibliografici là citati). La fusione provoca la formazione di pseudotachiliti, minerali ampiamente studiati nella comunità geologica e che hanno caratteristiche molto simili a quelle di materiali vetrosi. Le pseudotachiliti vengono considerate come fossili che preservano informazioni relative alla storia sismica di una faglia attiva (Sibson, 1975) e hanno recentemente ricevuto molta attenzione anche nella comunità dei modellatori geofisici (figura 1).

In un recente lavoro apparso sulla rivista Bulletin of the Seismological Society of AmericaAndrea Bizzarri ha proposto un modello fisico per descrivere quantitativamente il comportamento di parziale fusione all’interno di una struttura sismogenetica (Bizzarri, 2014). In particolare, l’autore considera l’evoluzione di un clasto di forma sferica imprigionato all’interno di una vena di pseudotachilite appena formatasi per effetto di un evento sismico. (Un clasto è un elemento detritico litoide originato dalla disgregazione e frammentazione di rocce preesistenti). Il modello proposto, matematicamente complicato ma estremamente semplice dal punto di vista concettuale, considera gli effetti che il campo termico della vena di pseudotachilite provoca sul clasto. Il calore all’interno della vena di pseudotachilite non è uniforme, ma è massimo al suo centro e minimo ai bordi, come fisicamente ci attendiamo (figura 2).

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Figura 2. Distribuzione spazio – temporale della temperatura della vena di pseudotachilite risultante dal modello proposto. Il profilo in rosso rappresenta la condizione iniziale, ovvero la temperatura della vena all’ inizio della simulazione numerica, ossia quando t = 0. La temperatura è massima all’ interno della vena e progressivamente si riduce spostandosi verso i bordi esterni, in cui la temperatura iniziale è quella della roccia incassante. Nel tempo, la vena cede calore (per conduzione) alla roccia incassante, la quale si riscalda. Tratta da Bizzarri (2014 )

Il clasto immerso nella vena (figura 3) viene ridotto in dimensioni per effetto della fusione parziale delle sue regioni più esterne (e pertanto a contatto con le alte temperature della vena di pseudotachilite appena formatasi), mentre il suo nocciolo può resistere e rimanere intatto (clasto parzialmente preservato o sopravvissuto, figura 4).

Figura 3. Schema del modello fisico che studia l’evoluzione di un clasto sferico inglobato all’ interno di una vena di pseudotachilite appena formatasi per effetto di fusione in seguito ad un terremoto (veduta trasversale alla vena, la regione grigia). All’esterno della vena di pseudotachilite vi è la roccia incassante, non fusa. Il modello studia la storia della temperatura all’interno del clasto (Tcl) e valuta se essa superi la temperatura di fusione (e venga pertanto assimilato alla vena fusa) o meno (rimanendo quindi parzialmente o totalmente preservato). Tratta da Bizzarri (2014)
Figura 3. Schema del modello fisico che studia l’evoluzione di un clasto sferico inglobato all’ interno di una vena di pseudotachilite appena formatasi per effetto di fusione in seguito ad un terremoto (veduta trasversale alla vena, la regione grigia). All’esterno della vena di pseudotachilite vi è la roccia incassante, non fusa. Il modello studia la storia della temperatura all’interno del clasto (Tcl) e valuta se essa superi la temperatura di fusione (e venga pertanto assimilato alla vena fusa) o meno (rimanendo quindi parzialmente o totalmente preservato). Tratta da Bizzarri (2014)

Il destino del clasto dipende quindi, oltre che dai parametri generali del modello (composizione chimica, dimensioni della vena di pseudotachilite, ecc.), dalla sua dimensione originaria e dalla sua posizione relativa rispetto al centro della vena stessa (figura 3).

Figura 4. Risultati del modello: andamento della temperatura all’interno del clasto con diametro originario pari a 2 mm ed immerso nella vena di pseudotachilite. Si osserva che le regioni più esterne del clasto fondono (curve rosse), in quanto la temperatura supera la temperatura di fusione del clasto (Tmeltcl), mentre quelle più interne sopravvivono inalterate (curve nere). In questo esempio il modello predice che il clasto sopravviverà intatto con un diametro di 1 mm. Tratta da Bizzarri (2014)
Figura 4. Risultati del modello: andamento della temperatura all’interno del clasto con diametro originario pari a 2 mm ed immerso nella vena di pseudotachilite. Si osserva che le regioni più esterne del clasto fondono (curve rosse), in quanto la temperatura supera la temperatura di fusione del clasto (Tmeltcl), mentre quelle più interne sopravvivono inalterate (curve nere). In questo esempio il modello predice che il clasto sopravviverà intatto con un diametro di 1 mm. Tratta da Bizzarri (2014)

Come ampiamente discusso dal lavoro di Bizzarri, i risultati di oltre 600 simulazioni numeriche di questo modello teorico sono in ottimo accordo con osservazioni geologiche indipendenti effettuate sul terreno. In particolare, il modello è in grado di spiegare e riprodurre la legge di potenza che lega il numero di clasti sopravvissuti (ovvero non fusi e assimilati alla vena di pseudotachilite) al loro diametro. Altri studi sono in corso sui processi fisici e chimici che avvengono prima, durante e dopo un episodio di rottura nella crosta terrestre, mediante esperimenti di laboratoriomodelli numerici. Questi studi ci permetteranno di comprendere sempre meglio il complesso fenomeno del terremoto e della fagliazione delle rocce alle profondità sismogenetiche, purtroppo quasi completamente inaccessibili all’indagine diretta.

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a cura di Andrea Bizzarri, INGV – Bologna

 

Bibliografia

Bizzarri, A. (2011a), Dynamic seismic ruptures on melting fault zones, J. Geophys. Res., 116, B02310, doi: 10.1029/2010JB007724.

Bizzarri, A. (2011b), On the deterministic description of earthquakes, Rev. Geophys., 49, RG3002, doi: 10.1029/2011RG000356.

Bizzarri, A. (2014), The destiny of a clast into a molten pseudotachylite vein, Bull. Seism. Soc. Am., 104, No. 5, 2399–2411, doi: 10.1785/0120140084.

Pittarello, L., Di Toro, G., Bizzarri, A., Pennacchioni, G., Hadizadeh J., e M. Cocco (2008),    Energy partitioning during seismic slip in pseudotachylyte–bearing faults (Gole Larghe Fault, Adamello, Italy), Earth. Plan. Sci. Lett., 269, No. 1–2, 131–139, doi: 10.1016/j.epsl.2008.01.052

Sibson, R. H. (1975). Generation of pseudotachylyte by ancient seismic faulting, Geophys. J. Roy. Astron. Soc., 43, 775–794.