Segnali sismici nel Mar Ionio: Tiziana Sgroi tra le “Women in Oceanography”
Tiziana Sgroi, ricercatrice dell’Ingv, è stata una delle oltre 200 donne scienziate selezionate per una raccolta di biografie, pubblicate dalla rivista Oceanography, dal titolo “Women in Oceanography – A Decade Later“.
Qui riportiamo un breve riassunto dei risultati dell’articolo che le è valso il riconoscimento: Geohazards in the Western Ionian Sea Insights from Non-Earthquake Signals Recorded by the NEMO-SN1 Seafloor Observatory, pubblicato sulla rivista Oceanography (in calce il riferimento completo).
Non sono solo i terremoti a testimoniare i fenomeni di instabilità dei fondali marini. Esiste una vasta gamma di segnali sismici che permettono di valutarne l’hazard.

Abbiamo condotto uno studio sui segnali sismici non associati a terremoti “classici”, registrati dall’osservatorio sottomarino NEMO-SN1, per valutare l’instabilità del settore occidentale del mar Ionio. L’area studiata (che comprende la Sicilia orientale e il mar Ionio) è caratterizzata da un’alta pericolosità sismica e vulcanica, legata alla presenza sia di strutture geologiche importanti, responsabili in passato di grandi terremoti, sia dell’Etna, uno dei vulcani più attivi al mondo. I segnali sismici correlati con i processi sismici e vulcanici sono registrati regolarmente dalle stazioni a terra e sono ben conosciuti; meno noti sono altri segnali sismici originati dalle strutture tettoniche poste nel bacino Ionico e dalla presenza di fluidi magmatici legati all’attività dell’Etna. Tali segnali sono molto complessi poiché risentono anche degli effetti legati all’attività del mare.
Uno studio multidisciplinare, basato sull’analisi dei segnali sismici, di pressione e idroacustici registrati dall’osservatorio sottomarino NEMO-SN1, uno dei nodi dell’infrastruttura EMSO (European Multidisciplinary Seafloor and water-column Observatory, http://www.emso-eu.org), ci ha permesso di identificare l’origine di questi segnali ed associarli ai processi tettonici e vulcanici che interessano l’area della Sicilia orientale e del bacino Ionico.
NEMO-SN1 è situato circa 20 km al largo di Catania, alla profondità di ~2100 m. È collegato alla stazione costiera sita al porto di Catania mediante un cavo elettro-ottico sottomarino che garantisce l’alimentazione elettrica e la comunicazione real-time bidirezionale con l’osservatorio. Il segnale GPS ricevuto a terra è trasmesso su fibra ottica e distribuito al sismometro, garantendo così la precisione necessaria per il riferimento temporale. Grazie alla trasmissione in tempo reale dei segnali sismici acquisiti, inoltre, è stato possibile integrare il sismometro nella rete sismica nazionale.
Nello studio in oggetto, oltre ai dati del sismometro a larga banda (Guralp CMG-1T, banda passante da 0.0027 Hz a 50 Hz, campionato a 100 campioni al secondo) sono stati analizzati anche i segnali acquisiti da un sensore di pressione (Paroscientific 8CB-4000, intervallo di campionamento di 15 s, risoluzione di 1 Pa 10-4dbar) e da un idrofono (SMID DT405D, campionato a 2 kHz, risoluzione 10-2 Pa, banda passante da 50 mHz a 1 kHz). La profondità del sito e il buon accoppiamento meccanico dello strumento con il fondale marino garantiscono un’alta qualità del segnale sismico con un buon rapporto segnale/rumore.

Le registrazioni sismiche dell’osservatorio sottomarino NEMO-SN1 consistono principalmente in terremoti locali, di origine sia tettonica che vulcanica. Una percentuale rilevante riguarda alcuni segnali sismici che testimoniano l’instabilità del fondale del mar Ionio e l’attività dell’Etna. Abbiamo analizzato tre diverse tipologie di dati sismici non associati a terremoti: 1) segnali sismici associati a frane sottomarine; 2) tremore vulcanico; 3) short duration events (SDE).
I segnali classificati come frane sottomarine (Figura 2A) sono caratterizzati da alto contenuto in frequenza, mancanza di fasi P ed S ben riconoscibili e lunga durata del segnale. Le analisi di polarizzazione e particle-motion hanno permesso di evidenziare la presenza di un campo d’onda costituito prevalentemente da onde superficiali di Rayleigh provenienti da una sorgente superficiale. Questi episodi risultano essere associati a strutture presenti del bacino Ionico e principalmente alla “Scarpata Ibleo-Maltese”, caratterizzata alla base dalla presenza di depositi di sedimenti inconsolidati (slumps), e al “Messina Rise”, un’area di margine continentale attraversata in vari punti da canyon e valli sottomarine.
Il secondo tipo di segnale analizzato è il tremore vulcanico (Figura 2B), un segnale sismico continuo che caratterizza le aree vulcaniche attive ed è legato a fluttuazioni di pressione indotte dallo spostamento di masse magmatiche. Per la sua natura, gioca un ruolo attivo nel monitoraggio in real-time dell’attività di un vulcano. Il confronto della distribuzione delleampiezze del tremore vulcanico registrato dall’osservatorio NEMO-SN1 e da alcune stazioni a terra durante l’episodio di fontana di lava del 19 febbraio 2013, evidenziala buona ricezione del segnale da parte di NEMO-SN1. Tale risultato riveste una grande importanza poiché implica una vicinanza della stazione sottomarina con il sistema di alimentazione profondo dell’Etna.
Il terzo tipo di segnale, denominato “Short Duration Event” (SDE; Figura 2C), è un segnale impulsivo di alta frequenza (10-50 Hz) e breve durata (~1-2 secondi) e da un regolare decremento dell’ampiezza nella coda del segnale. Gli SDE sono soggetti a una forte attenuazione e le analisi di particle-motion indicano una direzione di propagazione prossima all’orizzontale. Ciò fa ipotizzare che la sorgente che genera questi eventi sia superficiale e vicina all’osservatorio.

L’analisi multidisciplinare condotta sui segnali registrati dal sismometro, dal pressostato e dall’idrofono (Figura 3) ha permesso di evidenziare l’origine dei segnali. Le frane, che in molti casi sono state precedute da terremoti locali e regionali, sono associate alle strutture tettoniche presenti nell’area quali la Scarpata di Malta e il Messina Rise. Il tremore vulcanico rappresenta la tipica manifestazione dell’attività vulcanica dell’Etna ed è, quindi, associato ai movimenti del magma. Abbiamo interpretato gli SDE come associati a processi di idrofratturazione della copertura carbonatica che si trova alla base della scarpata; essi potrebbero essere legati a variazioni del campo di stress associate al movimento del magma.
In conclusione, l’articolo pubblicato su Oceanography mostra come l’instabilità del fondale Ionico sia associata non soltanto all’attività vulcanica dell’Etna e alle strutture tettoniche che hanno generato i terremoti noti dal catalogo storico. Grazie a un approccio multidisciplinare condotto sui dati registrati dal sismometro, dal pressostato e dall’idrofono, abbiamo potuto identificare i meccanismi che guidano la generazione dei segnali sismici non associati a terremoti “classici”.
A cura di Tiziana Sgroi (INGV – Sezione Roma-2).
Tiziana Sgroi è stata invitata a presentare la propria autobiografia a seguito della pubblicazione dell’articolo: Geohazards in the Western Ionian Sea Insights from Non-Earthquake Signals Recorded by the NEMO-SN1 Seafloor Observatory, di Tiziana Sgroi, Stephen Monna, Davide Embriaco, Gabriele Giovanetti, Giuditta Marinaro, Paolo Favali. Oceanography, 27(2), 154-166 (http://dx.doi.org/10.5670/oceanog.2014.51).