Il terremoto della Liguria occidentale del 26 maggio 1831
Il 26 maggio 1831, intorno alle ore 10:30 UTC, la Liguria occidentale fu interessata da un terremoto di magnitudo pari a circa 5.5, valore stimato da dati macrosismici. La scossa, con epicentro localizzato nella parte prossima al mare della valle Argentina, nei pressi di Taggia (IM) (Figura 1), interessò in modo distruttivo una quindicina di paesi della Liguria occidentale e fu avvertita fino a Torino, Genova, Nizza – che allora apparteneva al Regno di Sardegna – oltre che nell’entroterra ligure e in Provenza.
Il periodo sismico iniziato con la scossa del 26 maggio continuò almeno fino alla fine di gennaio dell’anno successivo. Gli osservatori coevi rilevarono una frequenza giornaliera delle scosse che per parecchio tempo, oltre ad indurre timore nella popolazione, incrementarono i danni ai fabbricati; fra tutte la scossa del 28 maggio. Data la notevole frequenza degli eventi, al tempo furono segnalate solo le maggiori repliche, quantificabili in 18 scosse.

Questa lunga sequenza si colloca all’interno di una serie di terremoti ben più duratura, visto che ha interessato questo tratto di costa della Liguria occidentale per quasi 70 anni. La prima grande scossa, di magnitudo pari a 5.5, fu infatti registrata il 23 febbraio 1818 nei pressi di Vallecrosia Alta (IM); seguì una nuova scossa localizzata circa 15 km più a nord-ovest l’8 gennaio dell’anno successivo, con magnitudo 4.9. Procedendo in ordine cronologico, avvenne poi l’evento del 1831, trattato nel presente articolo; successivamente la scossa di magnitudo 5.7 del 29 dicembre 1854, avvenuta a pochi chilometri dal confine francese, e infine quella del 23 febbraio 1887 a sud-ovest di Imperia, specificamente trattata in questo articolo su INGVterremoti: https://ingvterremoti.com/2018/03/02/i-terremoti-nella-storia-il-terremoto-della-liguria-del-23-febbraio-1887/.
Quest’ultima fece registrare il valore di magnitudo più elevato della sequenza, pari a Mw 6.3, stimato da dati macrosismici, e causò notevoli danni diffusi lungo la costa e nell’entroterra, in alcuni casi fino alla adiacente provincia di Cuneo. Come è possibile osservare dal confronto tra gli effetti della scossa del 1831 sia con la prima (1818) che con l’ultima della sequenza (1887), ottenuto grazie al tool online per il confronto tra terremoti disponibile sul portale del CFTI Lab, le zone epicentrali distano pochi chilometri fra loro (si vedano le Figure 2 e 3, rispettivamente). Appare inoltre evidente la maggiore intensità e l’ampia distribuzione degli effetti registrata per il terremoto del 1887.


Va segnalato che le aree di danneggiamento di tutti questi terremoti suggeriscono che siano stati localizzati in mare, a 10-20 km dalla costa. Questa ipotesi è dettagliata nel database DISS (https://diss.ingv.it/diss330/dissmap.html), che ascrive tutta la sequenza a una sorgente sismogenetica allungata parallelamente alla costa, dalla longitudine di Cannes (Francia) a quella di Savona, per una lunghezza complessiva di oltre 150 km, ben nota nella letteratura geologica come “Promontorio di Imperia” (Figura 4). Allo stesso tempo si deve ricordare che la versione standard del programma di calcolo usato per localizzare i terremoti gestisce con difficoltà gli eventi in mare. In questi casi la stella che dovrebbe rappresentare l’epicentro indica semplicemente il “centro” geografico dell’area dei maggiori effetti, e non potendo esistere effetti macrosismici in mare questo centro si troverà invariabilmente “schiacciato” sulla costa. Ne consegue che l’epicentro ottenuto non ha valore sismologico in senso stretto. Analogamente, la magnitudo di questi eventi tende a essere sottostimata, in misura tanto maggiore quanto più il vero epicentro dista dalla costa.

Come spesso avviene per eventi localizzati in prossimità della costa, a seguito dei terremoti del 1818, 1831 e 1887, si verificarono degli effetti anomali del mare riconducibili a delle onde di maremoto. Se per la scossa del 1818 fu notata solo un’insolita agitazione del mare prospiciente Antibes, per le repliche successive ci fu una vera e propria escalation negli effetti registrati. In particolare, le fonti riportano che poco prima della scossa del 1831 fu osservato un inaspettato ritiro del mare nel tratto di litorale vicino a Sanremo, mentre i marinai delle imbarcazioni che veleggiavano sotto costa affermarono di aver sentito un urto come se avessero battuto con la chiglia sul fondo. Molti sanremesi, spaventati dagli effetti di possibili repliche del terremoto sulle costruzioni ma ignari del pericolo che avrebbero potuto correre, abbandonarono il centro abitato per rifugiarsi sul litorale. Qui trovarono riparo nelle barche tirate in secco sulla riva. Lo stesso fecero gli abitanti di Taggia i quali, ritenendo più sicura la spiaggia, vi si attendarono.
L’effetto di maremoto fu notevolmente più intenso e meglio osservato a seguito del terremoto del 1887, quando il mare si ritirò momentaneamente dalle spiagge per poi ricrescere senza ondate violente. In quell’occasione il maremoto non fu avvertito solo dalle imbarcazioni che si trovavano a largo delle coste liguri, come viene descritto dal meteorologo F. Denza, ma i mareografi di Genova, Livorno e Marsiglia registrarono delle notevoli variazioni del livello del mare che, in diverse località, oscillarono da 40 cm a più di un metro. In alcuni casi queste perturbazioni durarono giorni, in altri, come a Loano e Porto Maurizio, divennero permanenti; un fenomeno che non sembra avere un fondamento fisico, ma che potrebbe semplicemente essere la testimonianza di localizzati fenomeni di scoscendimento o costipazione dei depositi di spiaggia. Nonostante le numerose osservazioni, in seguito a nessuna delle scosse appena menzionate si registrarono danni causati al maremoto, questo probabilmente dovuto anche alla morfologia della costa ligure che in molti tratti è caratterizzata da alte falesie.
Gli effetti del terremoto
Nella zona epicentrale del terremoto del 26 maggio 1831 gli effetti furono distruttivi e raggiunsero valori di intensità stimati pari al VIII-IX grado di intensità della scala MCS (Mercalli-Cancani-Sieberg). I danni più gravi furono rilevati a Castellaro (IM), dove vi furono alcune vittime e diversi feriti gravi. Crollarono oltre 50 case; altrettante furono danneggiate gravemente e rese pericolanti. Gravi danni subirono anche la maggioranza degli edifici ecclesiastici del paese. Fu colpita in particolare la chiesa parrocchiale, il cui tetto venne sfondato da una pesante “voluta” staccatasi dal campanile; si spezzarono inoltre quattro chiavi di volta , una delle quali uscì fuori dal muro, e si aprirono delle fenditure nei muri dell’edificio. La chiesa dell’Assunta fu resa inagibile a causa delle spaccature nei muri e il crollo della sacrestia, mentre l’oratorio del Santuario di Nostra Signora di Lampedusa subì sconnessioni ai muri e danni alla struttura che lo resero impraticabile. L’unica struttura ecclesiale rimasta fruibile per le funzioni religiose fu la cappella di S. Bernardo. Danni simili furono registrati anche a Taggia (IM) dove vi furono una vittima e molti feriti e, secondo quanto rilevato dalle autorità, tutti i fabbricati subirono danneggiamenti. Molte case vennero distrutte, molte altre risultarono cadenti. Danni non specificati subirono gli edifici strategici come il palazzo comunale, la caserma dei Carabinieri, l’ospedale. Tra gli edifici ecclesiastici la chiesa della Collegiata fu quella più duramente colpita; qui si formò una spaccatura in un grande arco sovrastante l’altare maggiore. La stessa triste sorte subì Bussana Vecchia (IM), dove fu accertato che tutti i fabbricati avevano subito qualche danno. Molte case crollarono a seguito della scossa, mentre quelle risultate pericolanti furono demolite successivamente. Alcune famiglie povere che continuavano a vivere nelle loro case divenute precarie furono sgomberate dai carabinieri su ordine dell’Intendente. Si verificarono danni anche a Ventimiglia, Castel Vittorio (all’epoca Castelfranco), Badalucco e Porto Maurizio, che rappresentano anche i limiti dell’area colpita in modo più grave.
Oltre ai danni causati agli edifici privati e alle infrastrutture, furono osservati anche diversi effetti sull’ambiente naturale. Secondo quanto riportato nei rapporti scritti dall’intendente della provincia di Sanremo, Alberto Nota, nell’area dei maggiori danni si verificarono frane e cadute di grandi massi che rotolarono a valle. Gli effetti principali interessarono però le acque. Furono infatti osservate in modo diffuso variazioni temporanee del regime delle acque, fenomeni di intorbidimento di sorgenti e aumenti di temperatura. Alcuni pozzi, senza più acqua da anni, tornarono a riempirsi, come riferì un proprietario il quale aveva già notato lo stesso effetto verificarsi a seguito del terremoto del 1818.
Per conoscere ulteriori dettagli sugli effetti di questo terremoto è possibile consultare la relativa pagina del CFTI5Med: http://storing.ingv.it/cfti/cfti5/quake.php?05824IT. Tale studio è il riferimento dell’attuale versione del Database Macrosismico Italiano (DBMI15): https://emidius.mi.ingv.it/CPTI15-DBMI15/, e quindi del Catalogo Parametrico dei Terremoti Italiani (CPTI15).
Le fonti storiche
Nell’ambito delle ricerche che hanno portato alla compilazione del Catalogo dei Forti Terremoti in Italia (CFTI5Med), oltre alla revisione della bibliografia nota è stata svolta una accurata ricerca bibliografica e archivistica, che ha consentito di reperire fonti archivistiche e memorialistiche e di integrare le notizie disponibili. Lo stato delle conoscenze si basa principalmente su fonti pubbliche amministrative, su numerosi giornali (6 testate) e su memorie locali. La principale fonte coeva, da cui può essere desunto il maggior numero di informazioni qualitativamente importanti sugli effetti, è la corrispondenza fra Alberto Nota, intendente della provincia di San Remo, e i Ministeri delle Finanze e dell’Interno del Regno sabaudo, in cui la zona colpita era compresa. Questi rapporti, conservati presso l’Archivio di Stato di Torino, sono il risultato dei sopralluoghi effettuati dallo stesso intendente nei centri maggiormente colpiti dalla scossa, integrate dalle testimonianze degli abitanti e dai resoconti trasmessigli dai funzionari dei vari centri della provincia. Alberto Nota pubblicò poi la sua relazione nel 1832. A questa relazione, arricchita anche di particolari e riflessioni erudite, fanno esplicito riferimento sismologi e naturalisti del secolo scorso, vari testi scientifici e memorialistici, e alcune cronache locali ottocentesche.
Oltre al carteggio fra l’intendente e la Real Segreteria, che riporta il rendiconto sulla stima dei danni e gli interventi di sussidio, sono disponibili alcune lettere che forniscono le indicazioni sulla risposta delle autorità al terremoto. Tra queste, ad esempio, il rendiconto del Primo Segretario delle Finanze al Segretario di Stato degli Affari Interni sui sussidi stanziati, la lettera di Paolo Raby al Primo Segretario delle Finanze, oppure la supplica di Gazo Vincenzo, privato cittadino, alla Segreteria degli Interni. Una lettera di T. Marsucco, ecclesiastico di Oneglia, al Segretario di Stato Pontificio riporta la descrizione dei danni subiti nella sua città, mentre nel memoriale del marchese Borea d’Olmo si ritrovano la cronologia delle scosse, l’entità dei danni subiti e varie informazioni di carattere economico. Fra le cronache locali, le più inedite risultano essere quelle di Giacomo Martini. Di rilievo informativo sono anche i numerosi giornali dell’epoca, come la Gazzetta Piemontese, la Gazzetta Privilegiata di Milano o di Venezia e il Giornale del Regno delle Due Sicilie, che riportarono l’evento. La Gazzetta di Genova invece, oltre a riportare l’evento, pubblicò anche i resoconti dettagliati degli eventi, inviati dai corrispondenti dai paesi colpiti dal terremoto.
Curiosità
La memoria del terremoto del 1831 è ancora viva nel paese di Taggia. Infatti, sul ponte medievale che attraversa il torrente Argentina si conserva un ricordo: in corrispondenza dell’undicesimo arco c’è una piccola edicola nella quale è collocata un’iscrizione in latino su marmo bianco (Figure 5 e 6).


Nell’epigrafe si legge:
“Binis pontis fornicibus
anno MDCCCXXXI VII Kal. Iun[ii]
terrae motu eversis
Iosepho puerulo puellaq[ue] Teresia
cum ruderibus arentem in alveum
conlapsis
sospitibusq[ue] recuperatis
Raymundus Anfossius pater
Superis pro beneficio
posteritati pro monumento”
Da cui la traduzione:
“Poiché il terremoto del 26 maggio 1831 distrusse due archi di questo ponte e scagliò, insieme alle macerie, il bimbo Giuseppe e la fanciulla Teresa nell’alveo asciutto del torrente, da cui furono tratti sani e salvi. Raimondo Anfossi loro padre [ha costruito questo tabernacolo] come ringraziamento a Dio e ricordo per i posteri.”.
Per conoscere tutti gli studi e i cataloghi che trattano il terremoto descritto si rimanda all’Archivio Storico Macrosismico Italiano: https://emidius.mi.ingv.it/ASMI/event/18310526_1030_000
A cura di Sofia Baranello e Caterina Zei (INGV), con la collaborazione del gruppo di lavoro del CFTILab
BIBLIOGRAFIA
Guidoboni E., Ferrari G., Mariotti D., Comastri A., Tarabusi G., Sgattoni G., Valensise G. (2018). CFTI5Med, Catalogo dei Forti Terremoti in Italia (461 a.C.-1997) e nell’area Mediterranea (760 a.C.-1500). Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV). https://doi.org/10.6092/ingv.it-cfti5.
Guidoboni E., Ferrari G., Tarabusi G., Sgattoni G., Comastri A., Mariotti D., Ciuccarelli C., Bianchi M.G., Valensise G. (2019). CFTI5Med, the new release of the Catalogue of Strong Earthquakes in Italy and in the Mediterranean area, Scientific Data, 6, Article number: 80 (2019). https://doi.org/10.1038/s41597-019-0091-9.
Tarabusi G., Ferrari G., Ciuccarelli C., Bianchi M.G., Sgattoni G., Comastri A., Mariotti D., Valensise G., Guidoboni E. (2020). CFTILab, Laboratorio Avanzato di Sismologia Storica. Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV). https://doi.org/10.13127/CFTI/CFTILAB
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