Analisi del rumore ambientale per lo studio della risposta sismica locale nell’area metropolitana di Milano

Lo studio degli effetti di sito a scala urbana è di primaria importanza per la riduzione del rischio sismico, poiché la variabilità delle condizioni del terreno può influire notevolmente sull’entità dell’amplificazione delle onde sismiche e sul danneggiamento.

Gli effetti devastanti del sisma di Mw 8.0 del 19 settembre 1985 a Città del Messico , primo caso eclatante in cui i danni furono causati quasi esclusivamente dagli effetti di sito (l’epicentro era a oltre 350 km di distanza), hanno stimolato una serie di studi a scala urbana, in città ubicate in corrispondenza di bacini sedimentari, come New York (Stephenson et al., 2009), Taipei (Wang, 2007), Perth (Liang et al., 2009), Seoul (Sun et al., 2014; Kim et al., 2017), Beijing (Liu et al., 2014), Istanbul (Picozzi et al., 2009; Ansal et al., 2010), Bucharest (Ritter et al., 2005), Roma (Marcucci et al., 2019) e Firenze (D’Amico et al., 2008).

La città di Milano si trova nel settore NW della Pianura Padana, il principale bacino alluvionale italiano, situato tra la catena appenninica e quella alpina, sviluppate a partire dal Cretacico per la convergenza tra la placca europea e quella africana (Pieri e Groppi, 1981; Bigi et al., 1990). L’area, sebbene sia caratterizzata da un basso tasso di sismicità, potrebbe essere interessata dal campo d’onda di terremoti lontani, moderati o forti, come ad esempio i terremoti dell’Emilia del 2012 (Luzi et al., 2013), di magnitudo momento (Mw) pari a 5.8 e 5.6, rispettivamente il 20 e il 29 maggio (Figura 1), oppure da terremoti vicini di magnitudo moderata, come nel caso degli eventi del 17 dicembre 2020  a Milano e del 18 dicembre 2021 in provincia di Bergamo entrambi di magnitudo momento (Mw) pari a 3.9 . Inoltre, essendo l’area caratterizzata da un’alta densità di popolazione (3 milioni di abitanti, http://www.istat.it) e da attività terziarie e infrastrutture importanti, può essere considerata a rischio medio-elevato a causa della forte esposizione.

 

Figura1. Accelerazione, velocità e spostamento registrato alla stazione Milano (IV.MILN, componente est-ovest del moto del suolo), installata nella sede INGV di Milano, durante l’evento del 29 Maggio 2012, Mw 5.6.

Dal punto di vista geologico, il sottosuolo della città di Milano è composto da depositi alluvionali di diversa granulometria (Figura 2), con prevalenza di sedimenti grossolani (ghiaie) nell’area settentrionale e sedimenti più fini (sabbie e argille) nell’area meridionale. La geometria 3D dei corpi sedimentari è stata ricostruita utilizzando i dati dei pozzi profondi del progetto ViDEPI (2009), le sezioni geologiche riportate in Pieri e Groppi (1981), la geologia degli acquiferi padani della Regione Lombardia (2002), la quota della base del Pliocene (Carta strutturale d’Italia, Bigi et al, 1990), e un profilo di sismica a riflessione ad alta risoluzione acquisito nell’area orientale della metropoli milanese (De Franco et al., 2009).

 

Figura 2. Carta dei depositi superficiali dell’area di Milano con ubicazione dei punti di misura a singola stazione (triangoli bianchi) e degli array sismici (triangoli viola). Il triangolo nero rappresenta la stazione IV.MILN della Rete Sismica Nazionale dell’INGV. Sono indicati inoltre i pozzi per acqua (cerchi blu), i pozzi petroliferi (cerchi neri) e il sondaggio eseguito nell’ambito del Progetto CARG (cerchio marrone) le cui stratigrafie sono state utilizzate per ricostruire il sottosuolo profondo.

La Figura 3 mostra i depositi quaternari, suddivisi in continentali e marini, in uno schema 3D; i sedimenti hanno uno spessore variabile da poche centinaia di metri, a NW, a oltre 1.0 km, a SW. Essi sono sovrapposti ai depositi pliocenici di natura argillosa e al substrato Miocenico di natura marnosa. I depositi si approfondiscono verso SSW, dove il tetto del Miocene si trova ad una profondità di circa 1.8 km.

 

Figura 3. Schema tridimensionale del sottosuolo dell’area metropolitana di Milano (riquadro rosso). Qc: Quaternario continentale; Qm: Quaternario marino; Plms: Pliocene medio-superiore; Pli: Pliocene inferiore; Mi: substrato (Miocene ed ere geologiche precedenti).

Dal punto di vista geofisico si può ipotizzare che l’interfaccia tra i depositi plio-quaternari e il tetto del Miocene possa causare l’amplificazione del moto del suolo ai lunghi periodi di vibrazione, mentre l’eterogeneità dei depositi alluvionali più superficiali possa modificare il contenuto di ampiezza del moto del suolo a periodi di vibrazione più corti.

Per verificare queste ipotesi, a partire dal periodo di lockdown del marzo-giugno 2021, il personale della sezione di Milano dell’INGV ha condotto una campagna di misure di microtremore a singola stazione nell’area metropolitana della città, per caratterizzare la risposta del terreno in termini di frequenza di risonanza (f0, la frequenza del primo modo di vibrazione del terreno), sfruttando la diminuzione dei disturbi antropici, come il traffico o il trasporto pubblico, legata alla minor circolazione di persone e mezzi. La distribuzione dei punti di misura nell’area di studio è riportata in Figura 2. In seguito, presso il Parco Nord, il campo sportivo Giuriati e il parco della Vettabbia, sono state effettuate tre misure di antenna sismica, per stimare la velocità delle onde di taglio (onde S o Vs) fino a profondità di circa 1.5 km (Figura 2). Infine, sono state effettuate quattro prove di geofisica attiva (MASW, Multichannel Analysis of Surface Waves) presso il Parco Nord e il parco della Vettabbia per caratterizzare in dettaglio l’andamento della velocità delle onde S nei primi 30 m di profondità.

Per stimare la frequenza di risonanza dei sedimenti è stata usata la tecnica cosiddetta di “Nakamura” (1989), che consiste nel calcolare il rapporto tra la componente orizzontale e quella verticale degli spettri di Fourier delle registrazioni di microtremore alle varie frequenze (curva HVSR). Per ricostruire l’andamento della velocità delle onde di taglio con la profondità è stata ricavata la curva di dispersione delle onde di superficie, registrate dalle antenne sismiche, utilizzando le tecniche frequenza-numero d’onda (f-k), oltre all’autocorrelazione spaziale modificata (modified spatial autocorrelation, mSPAC) ed estesa (extended spatial autocorrelation, ESAC). Infine, il profilo di velocità delle onde S è stato ricavato dalla curva di dispersione, che indica la relazione tra frequenza e velocità di fase delle onde di superficie attraverso un’operazione di inversione congiunta con le curve HVSR. I dettagli dell’analisi sono descritti in Massa et al. (2022).

Il metodo di Nakamura fornisce come risultato una curva HVSR media per ogni punto di misura, in cui le ascisse indicano la frequenza di vibrazione e le ordinate l’ampiezza del rapporto. In Figura 4 le curve relative a tutti i punti di misura sono state sovrapposte per evidenziare la loro similitudine: è infatti visibile in tutte le curve un primo picco in bassa frequenza a circa 0.2 Hz (Pk1), che identifica la frequenza di risonanza f0, seguito da un secondo picco intorno a 0.5 Hz (Pk2), che raramente supera il valore 2 in ampiezza, e infine è visibile un terzo picco a frequenze variabili, comprese tra 3 e 8 Hz (Pk3).

 

Figura 4. Curve HVSR relative ai siti in cui sono state effettuate le misure di microtremore.

La prima frequenza di risonanza (Pk1) ha un valore abbastanza costante nell’area di studio, con una leggera diminuzione da nord a sud che indica un aumento della profondità dei sedimenti. La frequenza Pk2 non è evidente in tutte le misure, mentre la frequenza più elevata (Pk3) mostra anch’essa un andamento decrescente da nord a sud (Figura 5), che potrebbe indicare uno spessore dei sedimenti crescente, ma anche velocità decrescenti dei depositi superficiali.

 

Figura 5. Mappa delle frequenze Pk3 dell’area di Milano.

Se analizziamo i profili di velocità, di cui si riporta come esempio quello effettuato presso il Parco Nord (Figura 6), si evidenzia come nei primi 10-20 m ci sia un primo aumento di velocità (con Vs che passano da circa 250 m/s a 450 m/s), che può essere correlato al picco in alta frequenza osservato nella curva HVSR (tra 3 Hz e 8 Hz nell’area esaminata). Un secondo significativo incremento di velocità si osserva a profondità comprese tra 350 m (Parco Nord, Figura 1) e 400 m (Parco della Vettabbia, Figura 1). Sulla base delle evidenze geologiche questa transizione corrisponde al passaggio tra la sedimentazione continentale e marina all’interno dei depositi quaternari. Inoltre, a questa profondità, la velocità delle onde di taglio supera gli 800 m/s, che è la soglia che identifica il substrato ingegneristico secondo le norme tecniche per le costruzioni italiane (NTC, 2018). Il secondo picco della curva HVSR, a circa 0.5 Hz, potrebbe essere correlato a questa interfaccia.

Figura 6. Profilo di velocità delle onde S in corrispondenza del Parco Nord.

Infine, il picco che si osserva a 0.2 Hz corrisponde a una terza interfaccia, tra i depositi Pliocenici e Miocenici (1000 m di profondità al Parco Nord e circa 1600 m presso il Parco della Vettabbia) dove la velocità delle onde S varia da circa 1000 m/s a 1800-2000 m/s.

Questo studio ha permesso di definire la geometria dei corpi sedimentari che costituiscono il sottosuolo dell’area metropolitana di Milano e associare a essi la velocità delle onde di taglio. Queste informazioni saranno utilizzate in futuro per simulare, con metodi numerici monodimensionali e bidimensionali, la risposta sismica del sottosuolo, per valutare le potenziali amplificazioni delle onde sismiche in caso di terremoto e valutare il rischio sismico dell’area.

 

A cura di Lucia Luzi, Sara Lovati, Marco Massa, Claudia Mascandola, Chiara Felicetta, Alessio Lorenzetti, Vera Pessina, Paolo Manganello, Giulio Brunelli, Santi Mirenna, Andrea Antonucci, Francesca Pacor, Andrea Rovida, Andrea Luca Rizzo (INGV Milano e INGV-Palermo)

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