L’età della subduzione e la condizione di sforzo controllano la sismicità intermedia e profonda

I terremoti che avvengono a profondità ipocentrale “intermedia” (70–300 km) e “profonda” (> 300 km) hanno sempre rappresentato un importante interrogativo per i geofisici. Sono quelli che si verificano nelle zone di convergenza tra placche tettoniche (zone di subduzione), dove una placca sprofonda al di sotto di un’altra e la litosfera in subduzione (chiamata anche “slab”) penetra nel mantello. Esempi noti sono quello della placca Pacifica che si immerge al di sotto dell’America meridionale e del Giappone e, più vicino a noi, la subduzione dello Ionio al di sotto della Calabria. Le zone di subduzione sono anche quelle in cui avvengono i terremoti di magnitudo più elevata mai registrati.

Il verificarsi di questi eventi, però, sembra costituire un paradosso fisico perché, all’aumentare della profondità, le temperature e pressioni via via più elevate all’interno del mantello terrestre dovrebbero favorire un comportamento plastico delle rocce (deformazione lenta, senza fratturazione), piuttosto che fragile, e di conseguenza inibire il verificarsi dei terremoti. Per spiegare i terremoti profondi, è pertanto necessario ipotizzare dei meccanismi diversi da quelli che governano i terremoti superficiali, che avvengono tramite rottura fragile, cioè quando lo sforzo applicato supera la resistenza delle rocce, con il conseguente scorrimento con attrito lungo la superficie di faglia.

Questo problema è complicato dall’evidenza che, nelle diverse aree geografiche in cui avviene la subduzione, i terremoti intermedi e profondi avvengono con frequenza e magnitudo massima diverse e in intervalli di profondità che non sono legati in maniera ovvia alle caratteristiche della litosfera subdotta.

I meccanismi che sono stati teorizzati in letteratura per spiegare la genesi di questi terremoti ipotizzano l’infragilimento delle rocce dovuto a modifiche nella loro struttura. Per i terremoti intermedi si ritiene che l’infragilimento sia dovuto al rilascio di molecole di acqua, con la formazione di roccia più porosa satura di fluidi (dehydration embrittlement); per i terremoti profondi, invece, l’infragilimento sarebbe legato alla trasformazione della struttura dei minerali (transformational faulting), con la formazione di zone localizzate di debolezza, che sotto sforzo possono unirsi e dare luogo ad uno scorrimento simile a quello della rottura fragile, o a meccanismi di instabilità termica causata da rapide deformazioni (thermal runaway), con aumento di temperatura e rilascio di ulteriore calore, in un processo di autoalimentazione che favorisce lo scorrimento della roccia lungo superfici planari.

Per i terremoti superficiali, in generale viene utilizzata come “misuratore di sforzo” la relazione tra il numero di terremoti piccoli rispetto a quelli forti, con i secondi relativamente più abbondanti nelle aree con sforzo più elevato e viceversa.

Nell’analisi pubblicata recentemente su Scientific Reports (Pino et al., 2022), è stato dimostrato che, nonostante la fisica sostanzialmente diversa, questa relazione può essere considerata valida anche per i terremoti intermedi e profondi e utilizzando i terremoti dell’area del Pacifico nordoccidentale si è ottenuta, per la prima volta, una vera e propria mappa della distribuzione dello sforzo lungo il piano di subduzione, per tutta la sua estensione.

Sono state analizzate in particolare due zone di subduzione del Pacifico occidentale, Kurili e Izu-Bonin (figura 1). Il confronto tra le due zone ha consentito di dimostrare che in entrambi gli slab i terremoti intermedi e quelli profondi sono generalmente confinati in intervalli di profondità caratterizzati dalla medesima età dall’inizio della subduzione. Questo risultato conferma l’ipotesi che i meccanismi di genesi dei terremoti intermedi e profondi sono distinti da quelli superficiali e indica che le condizioni affinché si verifichi lo scorrimento lungo dei piani di taglio all’interno dello slab dipendono principalmente dal tempo di permanenza della litosfera nel mantello e non sono influenzate da piccole variazioni nelle caratteristiche della litosfera subdotta.

Figura 1. Mappa dei terremoti della zona di subduzione del Pacifico occidentale. Sono mostrati in figura solo i terremoti di M ≥ 3.0 in quanto sono i più rappresentativi dello stato di sforzo dello slab e le loro localizzazioni sono maggiormente affidabili. Le curve rosse rappresentano le isobate della superficie superiore della litosfera in subduzione (la profondità è indicata in Km). Gli eventi visti dalla direzione N285° (freccia nella figura) sono proiettati lungo la sezione verticale in basso.

Inoltre, i risultati della ricerca evidenziano la significativa eterogeneità dello sforzo nei due slab, in termini di entità e di distribuzione spaziale (lateralmente e in profondità). Nonostante la apparente complessità del fenomeno, questa analisi permette di spiegare le caratteristiche osservate semplicemente considerando lo sforzo generato dalle forze di galleggiamento, che si oppongono all’avanzamento dello slab in profondità e sono principalmente condizionate dalla velocità di subduzione e dalle transizioni di fase mineralogica nel mantello (Figura 2).

Figura 2. Schema che sintetizza le osservazioni nelle due zone di subduzione (Kurili a sinistra, Izu-Bonin a destra). Le fasce di sismicità superficiali e profonde sono disegnate come due bande grigie separate dall’area di sismicità diffusa. La distribuzione dello sforzo con la profondità è schematizzata lungo due sezioni verticali per ciascuna zona di subduzione: blu indica tensione, rosso indica compressione, e i colori più scuri indicano sforzo maggiore in valore assoluto. La linea nera a forma di V a circa 410 km di profondità indica il cuneo di olivina metastabile (MOW).

Questo studio rappresenta un contributo importante verso una interpretazione unitaria dell’accadimento di terremoti intermedi e profondi nelle diverse aree del pianeta.

Il lavoro è stato pubblicato sulla rivista Scientific Reports: Pino, N.A., Convertito, V., Godano, C., Piromallo C. Subduction age and stress state control on seismicity in the NW Pacific subducting plate. Sci Rep 12, 12440 (2022). https://www.nature.com/articles/s41598-022-16076-8

 

a cura di Claudia Piromallo (INGV-Roma1) e Nicola Alessandro Pino (INGV-OV)


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