Il terremoto della Val d’Agri del 16 dicembre 1857, storia e geologia si interrogano per comprendere un grande terremoto di epoca pre-strumentale

Nonostante l’enorme vulnerabilità del patrimonio edilizio delle zone che ha colpito, quello del 16 dicembre 1857 fu certamente un terremoto molto forte. A questo terremoto e alla figura di Robert Mallet, l’ingegnere-sismologo irlandese che ne fece un formidabile oggetto di studio, è stato dedicato l’articolo “I terremoti nella Storia: il terremoto del 16 dicembre 1857 in Basilicata…”, pubblicato il 16 dicembre scorso. Oggi il terremoto è ben compreso dal punto di vista geodinamico, essendo stato riconosciuto come causato da una delle numerose grandi faglie estensionali che interessano la dorsale appenninica dalla Toscana alla Calabria: ma quale fu esattamente la sua magnitudo? Quanto era lunga la faglia responsabile del terremoto? Quanto è durato lo scuotimento?

E’ noto che la magnitudo non è l’unico parametro sismologico che influenza la severità di un terremoto, così come non tutti i terreni di fondazione rispondono nello stesso modo alla sollecitazione sismica e non tutti gli edifici si danneggiano con le stesse modalità a parità di scuotimento. Capire a fondo tutte queste circostanze è cruciale per stimare lo scuotimento atteso in ogni singola porzione del territorio e per progettare edifici in grado di resistergli. Ma come si è ripetuto tante volte su queste pagine, disponiamo di dati di dettaglio solo per i forti terremoti degli ultimi 20-30 anni, un intervallo che rappresenta una frazione minima della plurisecolare storia sismica italiana.

Il terremoto del 1857 causò danni notevoli in un’area eccezionalmente grande: la regione caratterizzata da intensità macrosismiche (MCS) pari al X grado o superiore si estende per circa 900 km2 . La maggior concentrazione dei danni fu riscontrata nell’Alta Val d’Agri a monte della diga del Pertusillo, ma intensità di IX e X grado MCS furono registrate in una regione estesa della parte settentrionale del Vallo di Diano fino al bacino di Sant’Arcangelo.

Intensità macrosismiche del terremoto del 16 dicembre 1857 (scala MCS) riprese dal Catalogo CPTI11 (Rovoda et al., 2011) e basate su di uno studio nel Catalogo dei Forti Terremoti in Italia (Guidoboni et al., 2007). La mappa è centrata sull'alta Val d'Agri e non comprende le zone periferiche del campo macrosismico. In nero è rappresentata la proiezione in superficie delle sorgenti sismogenetiche Melandro-Pergola (a nordovest) e Val d’Agri (a sud-est) del database DISS (link http://diss.rm.ingv.it/diss/). La zona che ha subito intensità di X grado o superiori è definita dalla linea blu a tratteggio. Il rettangolo nero tratteggiato è la sorgente macrosismica derivata dalle analisi automatiche dei dati di intensità (Gasperini et al., 1999). Le stelle rosse con i numeri 1 e 2 indicano rispettivamente l’epicentro proposto da Mallet e quello ottenuto dalle analisi automatiche (Gasperini et al., 1999). La linea bianca/blu mostra il percorso seguito da Mallet nel Vallo di Diano e nell’Alta Val d’Agri (tratto da Ferrari, 2004-2009, vedi anche
Figura 1 – Intensità macrosismiche del terremoto del 16 dicembre 1857 (scala MCS) riprese dal Catalogo CPTI11 (Rovida et al., 2011) e basate su di uno studio nel Catalogo dei Forti Terremoti in Italia (Guidoboni et al., 2007). La mappa è centrata sull’alta Val d’Agri e non comprende le zone periferiche del campo macrosismico. In nero è rappresentata la proiezione in superficie delle sorgenti sismogenetiche Melandro-Pergola (a nord-ovest) e Agri Valley (a sud-est) del database DISS . La zona che ha subito intensità di X grado o superiori è definita dalla linea blu a tratteggio. Il rettangolo nero tratteggiato è la sorgente macrosismica derivata dalle analisi automatiche dei dati di intensità (Gasperini et al., 1999). Le stelle rosse con i numeri 1 e 2 indicano rispettivamente l’epicentro proposto da Mallet e quello ottenuto dalle analisi automatiche (Gasperini et al., 1999). La linea bianca mostra il percorso seguito da Mallet nel Vallo di Diano e nell’Alta Val d’Agri (tratto da Ferrari, 2004-2009, vedi anche “Il terremoto del 16 dicembre 1857“).

Sappiamo che lo stesso Mallet faticò a capire dove esattamente il terremoto avesse dispiegato i suoi effetti maggiori, ovvero quale ne fosse l’area epicentrale. Infatti, dopo essere sbarcato a Napoli, egli raggiunse l’Alta Val d’Agri passando per il Vallo di Diano, seguendo approssimativamente il tracciato dell’attuale autostrada Salerno-Reggio Calabria e attraversando i Monti della Maddalena in corrispondenza della Piana di Magorno (linea bianca in Figura 1).

Prima di raggiungere l’Alta Val d’Agri Mallet trascorse diversi giorni nel Vallo di Diano ispezionando i danni subiti da Polla, anche a quei tempi uno degli insediamenti principali dell’area, e da numerosi altri paesi della zona. A sua insaputa, tuttavia, Mallet non era ancora entrato nell’area più gravemente danneggiata dalla scossa del 1857, e le distruzioni che stava studiando erano in gran parte dovute ad amplificazioni locali dello scuotimento sismico dovute allo spesso pacco di sedimenti fluviali e lacustri che ammanta il fondo del Vallo di Diano (Gallipoli et al., 2003). Solo in seguito egli visitò i paesi dell’Alta Val d’Agri, rilevando l’immensa distruzione e i fenomeni naturali che accompagnarono il terremoto.

Le tecniche oggi in uso per calcolare la magnitudo dei terremoti pre-strumentali sulla base della distribuzione del danno fanno del terremoto del 1857 uno dei più forti eventi sismici italiani di tutti i tempi (M 7.0), confrontabile con i tre terremoti più forti del XX secolo (Messina e Reggio, 1908; Marsica, 1915; Irpinia, 1980) se non addirittura più energetico. Ma è andata veramente così?

Sintesi delle stime della magnitudo del terremoto del 1857
Sintesi delle stime della magnitudo del terremoto del 1857.

La Figura 1 mostra la presumibile posizione ed estensione della faglia responsabile del terremoto del 1857, ottenuta dall’analisi automatica dei dati di intensità attraverso il programma Boxer (in Italia si utilizza ormai da oltre 15 anni; Gasperini et al., 1999). Il programma determina un epicentro, una magnitudo, l’orientazione del piano di faglia e la sua lunghezza proporzionale alla magnitudo stessa. Il piano di faglia viene considerato simmetrico rispetto all’epicentro così stimato. In Figura 1 la faglia ottenuta viene confrontata con le sorgenti sismogenetiche contenute nella banca-dati nazionale DISS (DISS Working Group, 2010), la cui proiezione in superficie è indicata da rettangoli neri, e con l’epicentro calcolato da Robert Mallet (stellina indicata con “1”).

Mallet decise di determinare l’epicentro come il punto di incontro di una serie di linee ideali tracciate lungo il prolungamento della direzione di caduta di manufatti (Figura 2 ). Questo approccio, ideato da Mallet stesso, parte dal presupposto che nell’area di massimo scuotimento questi manufatti siano danneggiati dall’arrivo delle onde P, anche se oggi è noto che è l’arrivo delle successive onde S a causare i danni più gravi ed estesi. L’esercizio richiede inoltre l’accortezza di escludere preventivamente quei manufatti che, per funzione o forma, risultano in qualche modo vincolati, ovvero impossibilitati a cadere in una direzione arbitraria ma solo in direzioni prefissate (come le lapidi delle tombe a terra dei cimiteri). Il metodo fu utilizzato estesamente fino al 1915, anno del terremoto della Marsica, per essere poi soppiantato da metodi puramente strumentali.

Porzione centrale della mappa A del Rapporto scritto da Mallet (1862), che mostra l’area mesosismica del terremoto del 1857, ovvero l’area di massimo danneggiamento (evidenziata con una linea a tratto-punto), e le 177 traiettorie desunte dalla caduta di manufatti per 78 località, il cerchio di raggio di 1 miglio all’interno del quale i 32 raggi si incontrano e l’epicentro proposto (stella bianca). Le sorgenti sismogenetiche del DISS (già riportate in Figura 1) sono mostrate per riferimento.
Figura 2 – Porzione centrale della mappa A del Rapporto scritto da Mallet (1862), che mostra l’area mesosismica del terremoto del 1857, ovvero l’area di massimo danneggiamento (evidenziata con una linea a tratto-punto), le 177 traiettorie desunte dalla caduta di manufatti per 78 località, il cerchio di raggio di 1 miglio all’interno del quale i 32 raggi si incontrano e l’epicentro proposto (stella bianca). Le sorgenti sismogenetiche del DISS, già riportate in Figura 1, sono mostrate per riferimento.

Qui giunti, è opportuno richiamare alcune definizioni che sono essenziali per comprendere i passaggi successivi. Sappiamo che una faglia è un piano di taglio della crosta terrestre lungo la quale, durante il terremoto, avviene lo scorrimento relativo di due blocchi rocciosi sottoposti a tensione dalle forze geodinamiche globali. Quando lo sforzo accumulato supera la resistenza dell’attrito tra i blocchi rocciosi la faglia si frattura, iniziando dal punto di minor resistenza; questo punto diventa l’ipocentro del terremoto che sta per scatenarsi, e la sua proiezione in superficie è invece nota come epicentro. Dall’ipocentro la frattura si propaga a una velocità di circa 2-3 km al secondo, irradiando energia sismica ed esaurendosi nell’arco di pochi secondi. Per un terremoto non registrato dagli strumenti, invece, per esempio un evento storico, l’epicentro è definito come il baricentro della distribuzione del danno, e per questo è chiamato anche epicentro macrosismico.  La differenza tra queste due definizioni non deve essere trascurata. L’ipocentro strumentale rappresenta solo il punto di inizio o nucleazione della frattura o rottura sismica, ed è quindi solo indirettamente legato al danno causato dal terremoto. Questo punto può trovarsi al centro della faglia, e si parlerà allora di rottura bilaterale, ovvero che si propaga simultaneamente verso le due estremità, o vicino a una estremità, e si avrà quindi una rottura unilaterale. Una rottura prevalentemente bilaterale causa una distribuzione dello scuotimento – e quindi del danneggiamento – simmetrica rispetto al centro della faglia, e quindi la determinazione strumentale dell’epicentro potrà essere pressoché coincidente con quella dell’epicentro macrosismico. Viceversa una propagazione unilaterale dà luogo di norma a una distribuzione dello scuotimento asimmetrica nella direzione in cui si propaga la rottura. E poiché in Italia i grandi terremoti sono causati da faglie lunghe anche 30-50 km (in altre aree del globo anche centinaia di chilometri, come fu per il terremoto di Sumatra del 2004), l’epicentro strumentale potrà trovarsi anche a oltre 20 km dall’epicentro macrosismico.

Torniamo ora all’epicentro ottenuto da Mallet. Per quanto detto in precedenza questo epicentro dovrebbe rappresentare con buona approssimazione la proiezione in superficie del punto di nucleazione del terremoto, ovvero il suo epicentro strumentale se nel 1857 fosse esistita una rete di sismografi come quelle odierne. Dalle due figure si osserva che l’epicentro calcolato da Mallet cade circa 15 km a nord-ovest dell’estremità della faglia ipotizzata sulla base di Boxer sotto le premesse già discusse, e a oltre 30 dall’epicentro macrosismico, ma a breve distanza dal bordo settentrionale della sorgente sismogenetica Melandro-Pergola del database DISS. Come mostrano chiaramente le isosisme tracciate da Mallet – le curve che uniscono luoghi colpiti dalla stessa intensità macrosismica – questo punto cade all’estremità nord-occidentale dell’area complessivamente colpita, che presenta quindi una forte asimmetria verso sud-est. Come si spiega questa asimmetria? E cosa implica in termini sismologici?

Va ricordato che fino al 2007 il terremoto del 1857 è stato considerato da quasi tutti coloro che lo hanno studiato come un unico grande evento dotato di un enorme potenziale distruttivo. Ma un esame attento delle fonti storiche mette in evidenza che la scossa principale che sconvolse l’Alta Val d’Agri era stata preceduta di circa due minuti da un’altra scossa significativa. Uno studio di dettaglio condotto da Branno et al. (1983) sui danni causati dal terremoto del 1857 riporta una osservazione di Leopoldo Del Re, l’allora direttore dell’Osservatorio Astronomico di Napoli, secondo cui “… alle ore 10 e minuti 10 di Francia si è sentita una prima scossa di tremuoto della durata di quattro in cinque secondi, la quale è stata dopo due minuti seguita da altra di assai maggiore intensità e della durata di circa venticinque secondi…”.

La loro ricostruzione (Figura 3) mostra che la prima scossa colpì la parte nord dell’area mesosismica cartografata da Mallet, tra i paesi di Balvano e Marsico Nuovo. Si trattò quindi di una fortissima premonitoria, un terremoto di magnitudo tra 5.5. e 6.0 che produsse danni in un’area situata a nord della Val d’Agri in corrispondenza della Valle del Melandro. Quest’area ricade all’interno dell’isosisma di massima intensità tracciata da Mallet (Figura 2) e all’interno dell’area di X grado MCS riportata in Guidoboni et al. (2007) (Figura 1).

Confronto tra l’area colpita con intensità VIII grado e superiore e l’area, evidenziata con le linee diagonali, dove la prima scossa fu chiaramente distinta (da Branno et al., 1983, ridisegnato). Le località di Tipo 1 e 2 sono quelle dove la popolazione fu in grado di distinguere le due scosse (cerchi e quadrati pieni); le località di Tipo 3 sono quelle dove solo una grande scossa fu avvertita; le località di Tipo 4 sono quelle non valutate. Si noti che la distribuzione del danneggiamento ottenuta da Branno et al. (1983) è differente da quella pubblicata in seguito da Boschi et al. (2000), mostrata in Figura 2. La figura mostra anche i bacini quaternari, le sorgenti sismogenetiche del DISS e l’epicentro di Mallet (stella bianca come in Figure 1 e 2). Bacini: HAV, Alta Val d’Agri; MPV, Valle del Melandro; SAB, Bacino di Sant’Arcangelo; VD, Vallo di Diano. Località: BA, Balvano; MN, Marsico Nuovo.
Figura 3 – Confronto tra l’area colpita con intensità VIII grado e superiore e l’area, evidenziata con le linee diagonali, dove la prima scossa fu chiaramente distinta (da Branno et al., 1983, ridisegnato). Le località di Tipo 1 e 2 sono quelle dove la popolazione fu in grado di distinguere le due scosse (cerchi e quadrati pieni); le località di Tipo 3 sono quelle dove solo una grande scossa fu avvertita; le località di Tipo 4 sono quelle non valutate. Si noti che la distribuzione del danneggiamento ottenuta da Branno et al. (1983) è differente da quella pubblicata nei database macrosismici mostrata in Figura 1. La figura mostra anche i bacini quaternari, le sorgenti sismogenetiche del DISS e l’epicentro di Mallet (stella bianca). Bacini: HAV, Alta Val d’Agri; MPV, Valle del Melandro; SAB, Bacino di Sant’Arcangelo; VD, Vallo di Diano. Località: BA, Balvano; MN, Marsico Nuovo.

Le informazioni sul tempo di occorrenza esatto della scossa principale riportate da Branno et al. (1983), che peraltro derivavano a loro volta da Baratta (1901), e la loro ricostruzione del danneggiamento associato al primo sub-evento (area tratteggiata in Figura 3) suggeriscono che il terremoto del 1857 sia stato un evento multiplo o complesso, ovvero composto da più eventi individuali vicini nello spazio e nel tempo.

Schema della sequenza delle scosse proposte da Burrato e Valensise (2007) per il terremoto del 1857. Le frecce mostrano la direttività della rottura ipotizzata, che spiega i danni maggiori avuti nella parte sudorientale dell’area di risentimento. Le stelle indicate con
Figura 4 – Schema della sequenza delle scosse proposte da Burrato e Valensise (2008) per il terremoto del 1857. Le frecce mostrano la direttività della rottura ipotizzata, che spiega i maggiori danni riscontrati nella parte sudorientale dell’area di risentimento. Le stelle indicate con “1” e “2” rappresentano rispettivamente la localizzazione epicentrale della prima scossa, come proposta da Mallet e in accordo con gli studi di Baratta e Branno, e il punto di nucleazione della seconda forte scossa, in accordo con Burrato e Valensise (2008).

Come abbiamo già accennato, fino al 2007, anno del suo centocinquantenario, il terremoto del 1857 veniva considerato dalla maggior parte di quanti lo hanno studiato – inclusi i compilatori del database DISS (DISS Working Group 2007) – come un evento semplice generato da una faglia lunga 20-25 km posta al di sotto dell’Alta Val d’Agri. Al contrario, la faglia lunga 15-20 km posta lungo l’asse estensionale dell’Appennino meridionale in corrispondenza della Valle del Melandro, a nord-ovest dell’Alta Val d’Agri, veniva considerata una struttura quiescente, non legata cioè ad alcun terremoto storico o strumentale, e dunque da trattare con cautela per i calcoli di pericolosità sismica (DISS database 2.0: Valensise e Pantosti, 2001; Montone, 2004; Lucente et al., 2005).

Burrato e Valensise (2008) hanno invece proposto che il terremoto del 1857 sia stato in realtà un evento complesso, causato dalla rottura di entrambe le faglie citate, da lungo tempo quiescenti. Come già osservato, l’epicentro calcolato da Mallet cade qualche km a nord della sorgente sismogenetica Melandro-Pergola. Anche ammettendo un’incertezza della localizzazione maggiore rispetto a quella stimata da Mallet stesso, è interessante notare che la presunta nucleazione della rottura cade vicino ad una estremità dell’area mesosismica, ovvero l’area di massimo danneggiamento (linea nera a tratteggio in Figura 1), ma a circa 30 km di distanza dall’epicentro macrosismico. Queste osservazioni suggeriscono che il terremoto del 1857 sia stato generato dalla rottura in rapida successione delle sorgenti sismogenetiche Melandro-Pergola e della Alta Val d’Agri (Figura 4): la rottura potrebbe essere iniziata nel triangolo Caggiano-Vietri di Potenza-Savoia di Lucania, non lontano dal bordo nord-ovest della sorgente Melandro-Pergola, ed essersi propagata unilateralmente verso sud-est, innescando poi la sorgente dell’Alta Val d’Agri. Secondo uno studio di McGuire et al. (2002) rotture prevalentemente unilaterali avvengono nell’80% dei grandi terremoti crostali per fagliazione normale, e quindi è molto probabile che questo tipo di rottura possa essere avvenuto anche durante il terremoto del 1857. Questa forte direttività spiegherebbe bene la forte asimmetria del danno verso sud-est, ovvero verso il bacino di Sant’Arcangelo.

Assumendo che lo spessore dello strato sismogenetico nella regione colpita dal terremoto del 1857 sia lo stesso di quello dell’area irpina colpita dal terremoto del 1980 e che il movimento cosismico sul piano di faglia nel 1857 sia stato lo stesso o comparabile con quello del terremoto del 1980 (1.0-2.0 m), si ottiene per il sistema di faglie dell’Alta Val d’Agri e per quello della Valle del Melandro una stima della magnitudo del massimo terremoto potenzialmente generabile pari rispettivamente a 6.5-6.7 e 6.3-6.6 ; i valori più alti si ottengono utilizzando la relazione di Hanks e Kanamori (1979) per convertire il momento sismico Mo nella magnitudo momento Mw, quelli più bassi utilizzando le relazioni di Wells e Coppersmith (1994) a partire dalla lunghezza delle due faglie.

Dimensioni delle sorgenti sismogenetiche potenzialmente responsabili del terremoto del 1857 (dal database DISS)
Dimensioni delle sorgenti sismogenetiche potenzialmente responsabili del terremoto del 1857 (dal database DISS). * Ipotizza un movimento medio sul piano di faglia pari a 1.5 m, per similitudine con l’adiacente sorgente sismogenetica del terremoto dell’Irpinia del 23 novembre 1980. ** Basata sulla Mo utilizzando le formule di Hanks e Kanamori (1979). *** Basata sulle dimensione della faglia utilizzando le formule di Wells e Coppersmith (1994).

Le magnitudo stimate sulla base dei dati geologici (lunghezza delle faglie) devono essere paragonate con la magnitudo stimata del terremoto del 1857 ottenuta dai dati di intensità macrosismica. Il risultato è che anche ipotizzando la rottura contemporanea di entrambe le faglie durante un singolo grande terremoto si ottiene una magnitudo che è di 0.1-0.3 unità inferiore alla magnitudo calcolata dai compilatori dei cataloghi CPTI e CFTI usando le tecniche di calcolo automatico sviluppate da Gasperini et al. (1999), che è pari a 7.0. E anche tenendo conto delle numerose incertezze che caratterizzano questo calcolo, questa differenza suggerisce non solo che lo scenario secondo il quale entrambe le faglie si sono attivate durante il terremoto del 1857 è plausibile, ma anche che la lunghezza e la larghezza delle faglie o il movimento cosismico durante il terremoto possono essere ancora sottostimati. Allo stesso tempo va osservato che le relazioni empiriche di Wells e Coppersmith (1994) per i terremoti estensionali – come nel caso del 1857 – implicano che un evento di M 6.8-7.0 sia associato alla rottura di una faglia di lunghezza compresa tra 44 e 68 km (prendendo la larghezza e il movimento cosismico specificati precedentemente). Di conseguenza, anche assumendo la magnitudo (M 6.84) calcolata da Branno et al. (1983), che rappresenta un limite inferiore, il terremoto del 1857 può essere stato generato dalla rottura delle due faglie adiacenti. Si noti anche che il terremoto dell’Irpinia del 1980 fu sicuramente un evento complesso (tre sub-eventi principali in 40 secondi) causato dalla rottura di una faglia segmentata complessivamente lunga 38 km e di una ulteriore faglia parallela lunga 10 km (Bernard e Zollo 1989; Pantosti e Valensise, 1990). Il Catalogo CPTI (CPTI Working Group 2004) assegna a questo terremoto una Mw 6.9.

Sintesi delle 14 sequenze con MW ≥5.5 avvenute in Italia negli ultimi 50 anni (1962-2012: dati dal catalogo CPTI11, Rovida et al., 2011). Dieci di tali sequenze sono state caratterizzate da eventi multipli o complessi, ossia costituite da almeno due scosse principali di magnitudo confrontabile.
Sintesi delle 14 sequenze con MW ≥5.5 avvenute in Italia negli ultimi 50 anni (1962-2012: dati dal catalogo CPTI11, Rovida et al., 2011). Dieci di tali sequenze sono state caratterizzate da eventi multipli o complessi, ossia costituite da almeno due scosse principali di magnitudo confrontabile.

La complessità della sorgente sismogenetica è un tratto ricorrente della sismicità italiana, sebbene il tempo trascorso tra i vari sub-eventi possa variare da pochi secondi a diverse settimane. La tabella qui sopra riporta le 14 sequenze sismiche strumentali con Mw>5.5 avvenute in Italia negli ultimi cinquanta anni. Dieci di queste sequenze, dunque ben più della metà, sono state sicuramente caratterizzate da una sorgente complessa, e solo quattro da una scossa singola. Altri esempi possono essere ritrovati nel record storico, anche se molti di questi sono troppo antichi per poter essere studiati in dettaglio.

Per concludere, il terremoto del 1857 rappresenta un ottimo esempio di come dati geologici e dati sismologici storici possano e debbano integrarsi, nell’interesse di una migliore comprensione dell’assetto sismotettonico e di una più efficace stima della pericolosità sismica:

  • abbiamo visto come una stima di magnitudo pur preziosa, come quella ottenibile con tecniche moderne dai dati storici di intensità, può talora risultare sovrastimata;
  • abbiamo visto come la complessità dei forti terremoti – fenomeno frequente, addirittura dominante in Italia – può comportare una sottovalutazione dell’estensione dell’area interessata dal terremoto se i dati storici non vengono interpretati accanto a quelli geologici;
  • abbiamo infine visto come la direttività della rottura in forti terremoti può modificare in modo sostanziale il quadro degli effetti. Nel 1857 la direttività verso sud-est ha di fatto limitato lo scuotimento nelle popolose aree del Salernitano e del Napoletano: esattamente il contrario di quello che successe nel terremoto del 1980, quando una evidente direttività verso nord-ovest causò danni ingenti in queste stesse due aree e addirittura crolli nel centro urbano di Napoli.

A cura di Gianluca Valensise, Pierfrancesco Burrato e Paola VannoliINGV-Roma1.


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