I terremoti nel Molise del 2002: la classificazione sismica prima e dopo San Giuliano di Puglia

Il terremoto di San Giuliano di Puglia , di cui ricorrono i 20 anni, ha segnato un punto di svolta importante nel trasferimento delle conoscenze sismologiche verso le politiche di prevenzione del rischio sismico in Italia. In questo articolo ricostruiamo quei momenti e le azioni che furono intraprese a seguito del terremoto.

L’evento del 31 ottobre 2002 (Mw 5.7) colpì un territorio che non era mai stato classificato come “sismico”, ovvero nel quale non si doveva costruire in modo antisismico. Le ragioni sono da ricercare nelle modalità secondo le quali le zone venivano dichiarate sismiche in passato. In particolare, la classificazione sismica dei comuni fu introdotta in Italia dopo il terremoto di Messina e Reggio Calabria del 28 dicembre 1908. Con il Regio Decreto n. 193 del 18 aprile 1909, i comuni interessati (tutta la Calabria e gran parte della provincia di Messina, circa un centinaio di comuni) furono classificati e questo comportava l’obbligo di rispettare le norme tecniche antisismiche, espresse dallo stesso Regio Decreto per l’edificazione delle nuove costruzioni e per la riparazione di quelle danneggiate.

Da allora, dopo ogni forte terremoto i comuni colpiti venivano classificati e quindi si applicava la normativa relativa. Nel 1927 venne introdotta la seconda categoria sismica. Si comprende, quindi, che tutti i territori colpiti dai terremoti distruttivi avvenuti prima del 1908 (figura 1) non erano classificati come sismici e, pertanto, per un lungo periodo di tempo non vi fu obbligo di costruire secondo la normativa sismica; in questo modo si è accumulato un enorme deficit di protezione antisismica, che ancora non è stato colmato.

Figura 1 – Terremoti nel catalogo CPTI15 (Rovida et al., 2022) precedenti al 1908. I quadrati rossi si riferiscono a terremoti di magnitudo compresa tra 5.0 e 5.9; i quadrati viola sono i terremoti con magnitudo 6.0 o maggiore.

Fu solo a partire dal 1980 che la classificazione sismica cominciò a basarsi su valutazioni di pericolosità sismica, con la definizione dell’elenco dei Comuni italiani sismici da parte del Progetto Finalizzato Geodinamica (Gruppo di Lavoro, 1980) e la conseguente accettazione da parte del Ministero dei LL.PP.. Per una applicazione completa fu necessario attendere il 1984, dopo i pareri delle Regioni; la mappa di classificazione sismica in vigore nel 1984 vide l’istituzione della terza categoria, limitatamente però alle sole Regioni colpite dal terremoto del 1980, e cioè Campania, Basilicata e Puglia (figura 2).

In totale i Comuni classificati come sismici divennero 2992: 100 in zona 3, 2524 in zona 2, 368 in zona 1. Oltre 5000 Comuni restarono “non classificati”.

Figura 2 – Classificazione sismica dei comuni al 1984 (N.C. = non classificato)

Dal 1984 al 1996 gli studi della comunità scientifica misero a disposizione nuove conoscenze che nel 1998, sotto la spinta di Franco Barberi, Sottosegretario di Stato alla Protezione Civile, resero possibile la predisposizione di una nuova proposta di riclassificazione sismica, anch’essa su basi parzialmente probabilistiche (Gruppo di Lavoro 1999); la proposta combinava, infatti, indicatori di pericolosità probabilistici (in particolare l’intensità di Housner a 10 e 50 anni) con la mappa delle massime intensità macrosismiche risentite (Molin et al., 1996). Tale proposta, tra le altre cose, espandeva la terza categoria fino a interessare tutte le Regioni, tranne la Sardegna: i comuni classificati sarebbero diventati 4610 (Meletti et al., 2014), vale a dire oltre la metà dei comuni italiani (figura 3).

Figura 3 – Proposta di classificazione sismica del 1998 (Gruppo di lavoro, 1999).

Questa proposta prevedeva che l’area di San Giuliano di Puglia (in Molise, ma al confine con la Puglia) venisse classificato in seconda categoria (figura 4).

Figura 4 – Confronto tra la classificazione sismica del 1984 (sinistra) e la proposta del 1998 (Gruppo di lavoro, 1999; destra). La stella indica l’epicentro del terremoto del 31 ottobre 2002.

Tuttavia, questa proposta incontrò resistenze da parte del Ministero dei LLPP e di alcune Regioni, proprio a causa della notevole estensione delle zone da classificare.

A seguito del terremoto del 2002, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, per iniziativa della Protezione Civile, emana l’Ordinanza 3274 che rivede l’intero corpo normativo sismico nazionale, che venne adeguato alla filosofia dell’EuroCodice 8, e per la prima volta in modo esplicito definiva le modalità di inserimento dei Comuni in zona sismica sulla base di una valutazione di pericolosità sismica, da compilarsi entro un anno secondo determinate specifiche.

In attesa di essa, l’Ordinanza impone anche alle Regioni una nuova classificazione sismica dei Comuni, assegnando ad ogni comune la zona più pericolosa tra quanto in vigore dal 1984 e quanto previsto dalla proposta del 1998. Va infatti ricordato che, mentre fino al 1998 la competenza per l’individuazione delle zone sismiche era del Ministro dei Lavori Pubblici, con il Decreto Legislativo n.112/1998 questa competenza venne trasferita alle Regioni, mentre restò allo Stato il compito di definire i relativi criteri generali.

La nuova classificazione introdusse la zona 4 per quei comuni che non erano mai stati classificati prima e ora tutto il territorio nazionale è considerato “sismico” ai sensi della normativa. La nuova classificazione prevedeva 716 comuni in zona sismica 1, 2324 comuni in zona 2, 1634 comuni in zona 3 e 3433 in zona 4.

 

In base a quanto previsto dall’Ordinanza 3274, l’INGV ha avviato un percorso per realizzare il modello di pericolosità sismica che soddisfacesse i requisiti lì indicati. Il percorso ha portato al rilascio nel 2004 del modello noto come MPS04 (Stucchi et al., 2011; http://zonesismiche.mi.ingv.it), che nel 2006 è stato dichiarato documento ufficiale dello Stato con una nuova Ordinanza, la 3519. L’Ordinanza 3519 dice alle Regioni che, qualora avessero voluto procedere a riclassificare i propri comuni, avrebbero dovuto utilizzare i valori di pericolosità sismica stimati dal modello MPS04, a meno di non aver condotto analisi che avessero seguito gli stessi requisiti e siano stati approvati dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici.

Da allora molte Regioni hanno provveduto a rivedere gli elenchi delle zone sismiche e le informazioni aggiornate si trovano nei siti delle rispettive amministrazioni. Un elenco riassuntivo per tutta Italia è disponibile nel sito del Dipartimento della Protezione Civile.

 

L’ultimo passo importante di questo percorso è l’utilizzo del modello di pericolosità sismica MPS04 nella normativa per le costruzioni. Le NTC08 (Decreto 14/01/2008 del Ministero delle Infrastrutture, GU n.29 del 04/02/2008), entrate in vigore definitivamente il 1° luglio 2009 e aggiornate nel 2018, considerano i valori del modello per definire lo spettro che i progettisti devono utilizzare per la progettazione di strutture nuove o intervenire su quelle esistenti per l’adeguamento antisismico.

Dal 2009, quindi, le zone sismiche non definiscono più le caratteristiche progettuali, ma soltanto i criteri per la verifica dei progetti da parte degli Enti preposti e hanno pertanto una funzione essenzialmente amministrativa.

 


Questo testo si basa in gran parte sulle informazioni contenute in:

Meletti C., Stucchi M., Boschi E., 2006. Dalla classificazione sismica del territorio nazionale alle zone sismiche secondo la nuova normativa sismica. In: Guzzoni D. (a cura di), Norme Tecniche per le costruzioni. Il Sole 24 Ore editore, Milano, 139-160.


 

A cura di Carlo Meletti (INGV-PI) e Massimiliano Stucchi (INGV-BO).

 

Riferimenti bibliografici

Gruppo di Lavoro (1980). Proposta di riclassificazione sismica del territorio nazionale. CNR – Progetto Finalizzato Geodinamica, Pubbl. 361, ESA Editrice, Roma, 83 pp..

Gruppo di Lavoro (1999). Proposta di riclassificazione sismica del territorio nazionale. Ingegneria Sismica, XVI, 1, 5-14.

Meletti C., Stucchi M., Calvi G.M., 2014. La classificazione sismica in Italia, oggi. Progettazione Sismica, 5(3), 13-23. DOI 10.7414/PS.5.3.13-23 – http://dx.medra.org/10.7414/PS.5.3.13-23

Molin, D., Stucchi, M., Valensise, G. (1996). Carta delle massime intensità macrosismiche osservate nei comuni italiani. Elaborazione di GNDT, ING e Servizio Sismico Nazionale per il Dipartimento della Protezione Civile (https://emidius.mi.ingv.it/GNDT/IMAX/max_int_oss.html).

Rovida, A., Locati, M., Camassi, R., Lolli, B., Gasperini, P., Antonucci, A. (2022). Catalogo Parametrico dei Terremoti Italiani (CPTI15), versione 4.0. Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV). https://doi.org/10.13127/CPTI/CPTI15.4

Stucchi, M., Meletti, C., Montaldo, V., Crowley, H., Calvi, G.M, Boschi, E. (2011). Seismic hazard assessment (2003–2009) for the Italian building code. Bull. Seismol. Soc. Am., 101, 1,885–1,911, https://doi.org/10.1785/0120100130.

 


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