Terremoti, Comunicazione, Diritto. Riflessioni sul processo alla “Commissione Grandi Rischi”
È uscito in questi giorni il volume Terremoti, comunicazione, diritto. Riflessioni sul processo alla “Commissione Grandi Rischi”, edito da Franco Angeli. Il libro, curato da due sismologi dell’INGV, Alessandro Amato e Fabrizio Galadini, e da un sociologo della Sapienza Università di Roma, Andrea Cerase, si propone di rilanciare un dibattito sulla mitigazione del rischio sismico in una prospettiva marcatamente interdisciplinare.
Il libro verrà presentato il 17 giugno, presso il Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale della Sapienza Università di Roma (Via Salaria 113). Alla presentazione, moderata da Marco Cattaneo, direttore de “Le Scienze”, parteciperanno tra gli altri Stefano Gresta, Presidente dell’Ingv, Mario Morcellini, direttore del Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale, Leonardo Cannavò, professore ordinario e sociologo della scienza, Marco Magheri, vice segretario generale dell’Associazione italiana comunicazione pubblica e istituzionale, altri esperti e giornalisti, oltre ad alcuni degli autori del libro.
Nelle sue 372 pagine sono ospitati i contributi di 22 autori tra sismologi, geologi, ingegneri, sociologi, psicologi, giuristi e giornalisti scientifici, esperti e accademici, sia italiani che stranieri. La “novità” dell’approccio proposto sta nell’esigenza, condivisa tra tutti gli autori del volume, di avviare un’analisi più articolata e dal carattere marcatamente interdisciplinare della vicenda aquilana, capace cioè di definire un campo di riflessioni in cui le conoscenze sismologiche, ingegneristiche, sociologiche, comunicative, psicologiche e del diritto possano in qualche misura integrarsi.
L’idea di pubblicare un libro sul processo contro sette tra scienziati e tecnici della cosiddetta “Commissione Grandi Rischi” iniziò a precisarsi nell’estate del 2014, a margine di una serie di incontri seminariali sulla vicenda del terremoto del 6 aprile 2009 all’Aquila. Il terremoto, infatti, oltre alle sue conseguenze più dirette e purtroppo luttuose, ha anche evidenziato delle serie criticità nel sistema della difesa dai terremoti e nella gestione dei rischi.
Il dibattito attorno alla vicenda giudiziaria ha forse rischiato di spostare il baricentro della discussione da una doverosa analisi dei problemi emersi e dei rimedi possibili, alla ricerca di responsabilità individuali, senza peraltro avviare una seria riflessione sulle condizioni di esposizione al rischio sismico di una consistente parte della popolazione italiana.
Va infatti ricordato che attualmente sono oltre 25 milioni gli italiani che vivono in zone classificate come ad alta sismicità (zona 1 + zona 2) e poco meno di 3 milioni quelli che vivono in zone ad altissima sismicità (zona 1), senza contare i 6.3 milioni di persone virtualmente esposte al rischio tsunami nei soli 10 comuni costieri più popolati, e gli oltre 2 milioni di persone esposte al rischio vulcanico (Vesuvio + Campi Flegrei) nel solo hinterland di Napoli.
In altri paesi, le catastrofi naturali sono trattate in modo decisamente diverso da quanto si sta vedendo nell’Italia del “dopo – l’Aquila”. In Giappone, al di là dei facili stereotipi sulla pretesa resilienza della popolazione ai terremoti, entro un quadro normativo che consente di attribuire con chiarezza compiti e responsabilità, prevenzione antisismica significa investire risorse ingenti nella ricerca di base e nello sviluppo delle tecnologie e dei sistemi organizzativi con una progettualità e dei risultati ben diversi da quelli visti all’Aquila o dopo altri importanti terremoti italiani.
In Giappone, dopo il catastrofico terremoto di Kobe del 1995, in cui una scossa di magnitudo 7 causò la morte di oltre 5500 persone e danni per più di 100 miliardi di dollari, la città e le sue infrastrutture sono state ricostruite con tecniche innovative improntate alla sicurezza sismica. Quando nel 2013 la città di Kobe fu nuovamente colpita da un terremoto di magnitudo 6.3, pari a quello verificatosi nel capoluogo abruzzese, si è potuta rilevare l’utilità delle azioni volte alla mitigazione del rischio. Il sisma ha infatti provocato 22 feriti in una città popolata da oltre un milione e mezzo di abitanti, a fronte dei 309 morti e più di 1500 feriti dell’Aquila, su una popolazione venti volte inferiore.
L’analisi proposta in questo volume è riconducibile in prima istanza alle tre tematiche principali riassunte nel titolo: la scienza dei terremoti, la comunicazione e il diritto. Gli autori, in piena libertà e autonomia, condividendo le perplessità nei confronti della sentenza di primo grado, hanno dato corpo a una serie di osservazioni a tutto campo a partire dalle loro conoscenze scientifiche, tecniche e professionali, ben consapevoli delle importanti implicazioni etiche e senza tuttavia accampare alcuna pretesa di stabilire “verità” assolute.
Ciò che emerge da quest’analisi ampia e variegata è l’impossibilità di circoscrivere le responsabilità alle mancate azioni o alle decisioni prese durante una singola riunione. Piuttosto, queste andrebbero collocate in un più ampio intervallo temporale e in altri contesti, nelle settimane, negli anni e nei decenni precedenti al sisma del 2009. Il volume evidenzia inoltre la necessità di un approccio “sistemico” ai rischi naturali che, superando decisamente la logica dell’adempimento burocratico, consenta di prendere decisioni più efficaci e consapevoli dei possibili effetti a catena che esse possono innescare, col risultato di amplificare il rischio anziché ridurlo.
I diritti d’autore del volume verranno interamente devoluti in beneficenza, e attribuiti a una ONLUS aquilana attiva nella riduzione del disagio psichiatrico.