Le reti GPS aiutano a comprendere il potenziale delle faglie dell’Appennino centrale

Oggi disponiamo di strumenti che ci permettono di misurare con precisione i movimenti della crosta terrestre durante un terremoto, e addirittura di quantificare il movimento relativo dei blocchi di crosta che si fronteggiano lungo il piano di faglia. Sismometri, satelliti con sensori radar e stazioni GPS restituiscono praticamente in tempo reale una quantità enorme di dati sul terremoto, tanto da consentire addirittura di indirizzare velocemente la macchina dei soccorsi verso le aree più colpite.

Ma in assenza di terremoti, la crosta terrestre è ferma?

Ovviamente no! La crosta terrestre è suddivisa in blocchi di varie dimensioni separati tra loro da faglie, che vengono “caricate” come molle dai lenti ma inesorabili movimenti della crosta, creando così le premesse per un futuro terremoto. Quelli registrati al di fuori di una crisi sismica sono movimenti lenti, lentissimi, non percepibili all’uomo ma ben registrati da idonei strumenti GPS.

Nel caso dell’Italia i dati mostrano chiaramente, ad esempio, che la costa tirrenica si allontana lentamente da quella adriatica; in pratica Roma ogni anno è 2-3 millimetri più distante da Pescara. Spostamenti minimi, eppure sufficienti nei secoli a caricare le faglie che poi sprigionano tutta la loro energia in terremoti distruttivi come quelli dell’Aquila o di Amatrice.

Per uno studioso della Terra ricondurre gli spostamenti registrati ad ogni singola stazione GPS alla lenta deformazione della crosta, e quindi al processo di caricamento di ogni faglia, è una delle sfide più affascinanti. In particolare sarebbe ideale poter valutare quanto ogni singola faglia sia “carica” e per quanto tempo ancora riuscirà ad ammortizzare l’ulteriore infinitesimo spostamento della crosta profonda. Noti questi due parametri, diviene più semplice determinare la possibilità che avvenga presto un forte terremoto.

Recentemente un gruppo di studiosi dell’INGV e della University of California, Los Angeles (UCLA) ha analizzato gli spostamenti negli ultimi 15-20 anni di diverse stazioni GPS situate nell’Appennino centrale, con l’obiettivo di determinare il “tasso di caricamento” delle principali faglie della zona. Poiché nessuno può conoscere il livello di caricamento che ciascuna faglia aveva 15-20 anni fa, questo studio non permette di fare alcun genere di previsione sulla posizione e sull’istante di accadimento del prossimo terremoto. Tuttavia, è emerso che il tasso di caricamento stimato è paragonabile al tasso di scorrimento relativo dei blocchi crostali sui lati di ciascuna faglia, così come misurato dai geologi per gli ultimi 10-100 mila anni.

Una stazione GPS installata vicino a Bojano (CB) per studiare il tasso di accumulo della faglia del Matese.

Questo è il primo studio che individua questa caratteristica per gli Appennini e conferma le ipotesi del “ciclo sismico”. Ogni singola faglia mostra di avere la capacità di mantenere a lungo coesi i blocchi di crosta ai suoi lati mentre questi si deformano a velocità pressoché costante: ma prima o poi lo sforzo necessario per deformarli ulteriormente supererà quello necessario per far cedere la faglia, e i due blocchi inizieranno a scorrere in senso relativo per tornare alla loro condizione indeformata, anche se in una posizione diversa. È il terremoto!

La speranza dei ricercatori è che in futuro si possa studiare l’evoluzione della deformazione dei blocchi di roccia prossimi alle faglie per individuare in tempo quasi reale quei segnali che potrebbero indicare che un terremoto sta per accadere. La strada è ancora lunga ma questo lavoro va nella giusta direzione, poiché permette di riannodare i fili della storia di numerose faglie appenniniche, collegando la loro evoluzione geologica alla deformazione dei blocchi di crosta che la circondano.

Il tasso di caricamento (slip rate) stimato tramite dati relativi agli ultimi 15-20 anni per le principale faglie dell’Appenino centrale.
Appennino centrale: confronto fra tassi di caricamento (slip rates) delle principali faglie attive ottenuti con dati GPS (barre orizzontali di color grigio) e ottenuti come rateo di scorrimento relativo dei blocchi crostali sui lati di ciascuna faglia da studi geologici disponibili in letteratura(tre o quattro a seconda dei casi: barre blu).

A questo importante risultato se ne affianca uno più pratico, poiché in tutto il mondo la velocità di caricamento delle faglie (da pochi decimi di millimetro a uno-due millimetri) è ad oggi uno dei principali parametri per stimare la pericolosità sismica.

A cura di Michele Carafa (INGV-Roma1)


Carafa, M. M. C., Galvani, A., Di Naccio, D., Kastelic, V., Di Lorenzo, C., Miccolis, S., Sepe, V., Pietrantonio, G., Gizzi, C., Massucci, A., Valensise, G., Bird, P. (2020). Partitioning the ongoing extension of the central Apennines (Italy): Fault slip rates and bulk deformation rates from geodetic and stress data. Journal of Geophysical Research: Solid Earth, 125, e2019JB018956. https://doi.org/10.1029/2019JB018956.

https://agupubs.onlinelibrary.wiley.com/doi/abs/10.1029/2019JB018956 


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