Il terremoto del crotonese dell’8 giugno 1638

Intorno alle ore 9:45 UTC dell’8 giugno 1638, l’entroterra del crotonese fu interessato da un terremoto di magnitudo pari a circa 6.9 (stima da dati macrosismici), localizzato nel Catalogo dei Forti Terremoti in Italia alcuni km ad est di San Giovanni in Fiore (CS) (Figura 1).

Figura 1. Area interessata dal terremoto del 8 giugno 1638 (dal CFT5 Med).

L’evento colpì il versante ionico della Calabria, in particolare le località della piana del Marchesato (corrisponde pressappoco all’attuale provincia di Crotone) e delle pendici orientali della Sila, dove almeno sei paesi subirono gravi distruzioni e in altri centri abitati, tra cui  Catanzaro e Crotone, si registrarono danni molto gravi. Questa scossa non fu un episodio isolato, ma rientra all’interno della sequenza sismica che interessò la Calabria nel 1638. Tale sequenza, iniziata a metà gennaio con scosse di bassa entità, fu caratterizzata da due terremoti distruttivi che manifestarono valori di magnitudo simili, avvenuti a distanza di oltre due mesi l’una dall’altra. Le aree di danneggiamento risultarono però solo parzialmente sovrapposte.

La prima scossa del 27 marzo 1638, con una magnitudo stimata pari a 7.0 (sulla base di dati macrosismici) e una intensità epicentrale stimata dell’XI grado della scala MCS (Mercalli-Cancani-Sieberg), localizzata nei pressi di Passo Ceraso (CZ), colpì fortemente una vasta area della Calabria centrale, al confine tra le province di Catanzaro e Cosenza, e in particolare la Valle del Fiume Savuto. L’area dei danni si estese a nord fino a Maratea (PZ), dove furono rilevate leggere lesioni, e a sud fino a Messina, dove crollò parzialmente la copertura della cattedrale. La scossa fece registrare danni anche in Sicilia e fu avvertita leggermente a Napoli e a Taranto. Dopo poco più di due mesi, l’8 giugno dello stesso anno, si manifestò una nuova scossa, quella oggetto del presente contributo, con una magnitudo stimata pressoché identica, ma con un epicentro situato a circa 50 km in direzione E-NE rispetto al precedente. Lo si evince dal confronto mostrato in Figura 2, ottenuto grazie al tool online per il confronto tra terremoti disponibile sul portale del CFTILab.

Figura 2. Confronto tra l’area interessata dal terremoto del 27 marzo 1638, a sinistra, e quella colpita dalla scossa dell’8 giugno 1638, a destra (da http://storing.ingv.it/cfti/cftilab/cfr/ )

Come già detto, i danni causati da questa seconda scossa risultano localizzati principalmente nel versante ionico della regione, ma è necessario tenere presente che. nelle zone già distrutte dalla prima scossa sarebbe stato impossibile valutare ulteriori danni causati da un terremoto più lontano, e assegnare una intensità macrosismica; un esempio di danno cumulato tra le due scosse è rappresentato dalla città di Cosenza e dai casali circostanti, già danneggiati dalla scossa precedente. La Figura 2 mostra chiaramente una distribuzione apparente del danno curiosamente asimmetrica, proprio come effetto del fatto che la seconda scossa interessò ampie aree già del tutto devastate e quindi ‘silenti’ dal punto di vista dell’indagine macrosismica; ne è un chiaro esempio proprio la Valle del Savuto.

Gli effetti del terremoto 

Nella zona epicentrale del terremoto dell’8 giugno 1638 gli effetti furono distruttivi e raggiunsero valori di intensità stimati pari al X grado della scala MCS. I danni più gravi furono rilevati a Roccabernarda (KR), dove crollarono il castello, dieci chiese e oltre 150 case; molte altre abitazioni divennero inabitabili, e si contarono inoltre una decina di vittime. A Zinga (KR), dove la scossa del 27 marzo aveva causato il crollo del castello, e probabilmente indebolito gli edifici, a seguito della scossa dell’8 giugno l’abitato venne totalmente distrutto, tanto che fu abbandonato e i pochi abitanti che decisero di rimanere nella zona si insediarono su un’altura vicina. Altri piccoli borghi, tra cui Policastro (KR), Casabona (KR) e Verzino (KR) subirono ingenti danneggiamenti.

Molti di questi gravi danni, oltre che alla violenza del sisma, sono anche da attribuire alla fragilità dell’edilizia dei paesi calabresi dell’epoca, che amplificò sensibilmente gli effetti del terremoto. Infatti, le case al tempo erano in prevalenza costruite in pietre e ciottoli, malamente legati da malte di pessima qualità. Inoltre, la grande maggioranza degli abitati erano arroccati sui rilievi con edifici addossati gli uni agli altri e disposti  secondo l’altimetria del terreno, che in quelle zone è caratterizzata da forti discontinuità. Nei centri abitati principali ci furono aggravamenti dei danni già avvenuti con la prima scossa di marzo ed ulteriori crolli. In particolare il duomo di Catanzaro, già gravemente danneggiato, vide il crollo completo della facciata. Fortunatamente a giugno si contarono meno vittime poiché la maggioranza degli abitanti, allarmata dalle scosse precedenti, si trovava all’aperto. Il castello di Cosenza, in cui c’erano stati già dei crolli dei piani superiori a causa della scossa di marzo, fu completamente atterrato crollò interamente. A Crotone, dove la prima scossa fece solo qualche danno, la seconda causò gravi lesioni, crolli negli edifici e qualche vittima.

I terremoti del 1638 causarono inoltre rilevanti effetti sull’ambiente naturale, in particolare fenomeni geomorfologici e idrologici che, in qualche caso, modificarono il paesaggio in modo permanente. Gli effetti che si verificarono in modo più diffuso a seguito della scossa dell’8 giugno furono le spaccature nel terreno. Degna di nota è l’apertura di un’enorme spaccatura, che, secondo il vescovo Agazio Di Somma (1641), testimone diretto del terremoto, era lunga 60 miglia (probabilmente un errore per 6 miglia, circa 11 km), larga circa 50 cm (2 palmi) e con un bordo ribassato di circa 75 cm (3 palmi), che da Policastro (l’attuale Petilia Policastro), passando per San Giovanni in Fiore, raggiungeva la Sila; da alcuni punti di questa spaccatura fuoriuscirono gas maleodoranti. Furono osservate fenditure anche ad Altilia, a Santa Severina e poco più a sud sul Monte Fuscaldo, dai cui versanti si staccarono delle frane.

Per conoscere ulteriori dettagli sugli effetti di questo terremoto è possibile consultare la relativa pagina del CFTI5Med: http://storing.ingv.it/cfti/cfti5/quake.php?00958IT. Tale studio è il riferimento dell’attuale versione del Database Macrosismico Italiano (DBMI15): https://emidius.mi.ingv.it/CPTI15-DBMI15/, e quindi del Catalogo Parametrico dei Terremoti Italiani (CPTI15).

Le fonti storiche

I terremoti del 27 marzo e dell’8 giugno 1638 sono ricordati in tutti i trattati e i repertori di terremoti  compilati a partire dalla metà del XVII secolo fino ai moderni cataloghi, e testimoniati da numerose relazioni e memorie pubblicate a breve distanza dagli eventi, sulla scorta di osservazioni dirette e di resoconti di prima mano. La storiografia otto-novecentesca a carattere locale ha avuto il merito di pubblicare documenti di difficile reperimento riguardanti alcuni centri minori o edifici di particolare rilievo (santuari, torri costiere). Nell’ambito delle ricerche che hanno portato alla compilazione del Catalogo dei Forti Terremoti in Italia (CFTI5Med), oltre alla revisione della bibliografia nota è stata svolta una accurata ricerca bibliografica e archivistica, che ha consentito di reperire fonti archivistiche e memorialistiche e di integrare le notizie disponibili. Presso l’Archivo General de Simancas, nel fondo “Secretarías Provinciales”, sono state reperite due consulte del Consejo de Italia: la prima relativa ai danni e ai primi provvedimenti adottati a seguito del terremoto; la seconda riferita a una lettera al re sui pesanti effetti economici che le distruzioni avrebbero avuto sulle casse del regno. All’Archivio di Stato di Napoli sono stati reperiti e analizzati numerosi documenti riguardanti tutto l’iter dell’intervento del governo centrale. Questi documenti includono, in particolare, una relazione relativa all’organizzazione della missione di Ettore Capecelatro, plenipotenziario per le province calabresi, incaricato di verificare i danni subiti in ciascuna località e di organizzare i primi soccorsi alle popolazioni danneggiate; alcuni interventi particolari relativi a sgravi fiscali I i documenti prodotti dalle comunità locali o riguardanti la situazione di singoli paesi (suppliche, richieste di esenzioni e richieste di permessi di ricostruzione) sono conservati nei fondi del Consiglio Collaterale e del Viceré. Rilevanti sono anche le fonti rinvenute nell’Archivio Segreto Vaticano, dove è stata analizzata sia la documentazione di carattere diplomatico, sia quella propriamente ecclesiastica. Tra queste risultano particolarmente ricche di notizie dirette sugli effetti del terremoto le lettere del nunzio apostolico Nicolò Herrera e la relazione dell’ecclesiastico napoletano Paolino Bianchi. Nelle relazioni episcopali sono contenute informazioni sui danni subiti dagli edifici di culto e sulle modalità della ricostruzione riguardanti alcune diocesi calabresi.

Fra le fonti edite, i testi più importanti per valutare l’entità dei danni sono le relazioni consegnate al viceré dal consigliere Capecelatro, pubblicate nel 1640. Tali relazioni forniscono informazioni relative a circa 200 centri abitati. Per ogni località sono riportati il numero dei morti, distinti per sesso e classi di età, il numero degli edifici distrutti o gravemente danneggiati,  con particolare attenzione alle costruzioni di maggiore rilievo (chiese, castelli, monasteri, mura di cinta, conventi, palazzi signorili), e un commento sintetico di tipo qualitativo sulle condizioni generali del luogo: «tutto spianato», «quasi tutto disfatto», «poco danneggiato». Fra le fonti memorialistiche spiccano per importanza descrittiva le opere di Lucio D’Orsi (1640) e di Agazio Di Somma (1641) (Figura 3), che furono testimoni diretti degli eventi rispettivamente a Belcastro e a Catanzaro. Rilevante anche l’opera redatta in lingua latina dal gesuita Giulio Cesare Recupito (1638), che attinse a varie fonti orali ed epistolari. Di carattere più teorico che descrittivo è l’opera di Francesco Bernaudo (1639).

Figura 3. Frontespizi delle opere di Lucio D’Orsi e di Agazio Di Somma che furono testimoni diretti dell’evento.

Curiosità

Quest’area della Calabria è sempre stata sismicamente molto attiva, come testimoniano i numerosi e violenti terremoti di cui abbiamo testimonianze storiche. Per eventi più antichi però può succedere che la loro  localizzazione – e di conseguenza anche la magnitudo –  sia resa imprecisa da diverse circostanze. Il terremoto dell’8 giugno 1638 in questo senso potrebbe rappresentare un caso quasi unico. Sappiamo dalle fonti storiche che all’epoca di questo terremoto la zona centrale della Sila era largamente disabitata, e quindi non esistevano testimoni potenziali di effetti sul contesto antropico. Per fare un esempio, Camigliatello Silano, che oggi è il centro più importante dell’area, è una località turistica nata negli anni ’30 del secolo scorso. Al contrario, come è possibile notare dalla Figura 1, il terremoto ha avuto effetti tangibili e valutabili in diversi centri abitati posti nella pre-Sila crotonese e già esistenti al tempo, mentre non abbiamo notizie relativamente ai suoi effetti sui centri che già esistevano nella Valle del Savuto, in quanto già gravemente danneggiati dal terremoto di marzo dello stesso anno e quindi presumibilmente abbandonati dalla popolazione. Di conseguenza, è altamente plausibile che i dati macrosismici disponibili tendano a collocare l’area epicentrale di questo terremoto in una posizione più orientale rispetto a quella reale. Traslando l’area epicentrale di una decina di km verso Ovest si ricadrebbe nella zona di tetto di una grande faglia, detta “Faglia dei Laghi”, la cui presenza è stata ipotizzata da Galli e Bosi (2003) proprio sulla base delle descrizioni di D’Orsi e Di Somma, oltre che di accurati rilievi geologici. Nel database DISS è censita una struttura sismogenetica simile alla Faglia dei Laghi ma ribattezzata Faglia del Lago Ampollino (https://diss.ingv.it/diss330/sources.php?ITIS143)

Se quindi l’effettiva area epicentrale del terremoto fosse realmente spostata rispetto a quella indicata dal campo macrosismico, resterebbe da capire come a dei centri abitati posti a letto della faglia, dove normalmente gli effetti dinamici del terremoto sono meno forti rispetto alla zona di tetto, siano stati assegnati valori molto elevati. Anche in questo caso il fenomeno potrebbe essere giustificato dalla forte vulnerabilità dell’edificato storico calabrese, o da forti effetti di amplificazione locale, o da una combinazione di queste due circostanze.

L’ipotesi avanzata da Galli e Bosi (2003) e poi ripresa nel DISS implica che la localizzazione dei forti terremoti storici deve sempre essere attentamente considerata, con riferimento non solo a quello che i dati “dicono”, ma soprattutto rispetto a quello che i dati “non dicono”: o perché mai raccolti, o perché persi, o per la concomitanza di altri forti terremoti nella stessa regione e nello stesso periodo storico, i cui effetti possono aver mascherato quelli del terremoto su cui si sta indagando.

Per conoscere tutti gli studi e i cataloghi che trattano il terremoto descritto si rimanda all’Archivio Storico Macrosismico Italiano: https://emidius.mi.ingv.it/ASMI/event/16380608_0945_000

A cura di Sofia Baranello e Caterina Zei (INGV), con la collaborazione del gruppo di lavoro del CFTILab

BIBLIOGRAFIA

Galli P., Bosi V. ( 2003). Catastrophic 1638 earthquakes in Calabria (southern Italy). New insight from paleoseismological investigation. J. Geophys. Res., 108, B1. https://doi.org/10.1029/2002JB01713.

Guidoboni E., Ferrari G., Mariotti D., Comastri A., Tarabusi G., Sgattoni G., Valensise G. (2018). CFTI5Med, Catalogo dei Forti Terremoti in Italia (461 a.C.-1997) e nell’area Mediterranea (760 a.C.-1500). Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV). https://doi.org/10.6092/ingv.it-cfti5.

Guidoboni E., Ferrari G., Tarabusi G., Sgattoni G., Comastri A., Mariotti D., Ciuccarelli C., Bianchi M.G., Valensise G. (2019). CFTI5Med, the new release of the Catalogue of Strong Earthquakes in Italy and in the Mediterranean area, Scientific Data, 6, Article number: 80 (2019). https://doi.org/10.1038/s41597-019-0091-9.

Tarabusi G., Ferrari G., Ciuccarelli C., Bianchi M.G., Sgattoni G., Comastri A., Mariotti D., Valensise G., Guidoboni E. (2020).  CFTILab, Laboratorio Avanzato di Sismologia Storica. Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV). https://doi.org/10.13127/CFTI/CFTILAB


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