La sequenza del 21 agosto 1962: cosa sappiamo delle faglie che hanno generato questi terremoti? Osservazioni e questioni aperte

Il 21 agosto 1962 nell’area del Sannio – Irpinia dell’Appennino campano si sono verificati tre forti terremoti in meno di 40 minuti e precisamente alle ore 19:09, 19:19 e 19:44. Questi eventi sono stati preceduti da una scossa alle ore 16:56 che non ha causato danni.

Il verificarsi di diverse scosse forti – in grado di generare danni all’edificato – all’interno di una sequenza sismica non è un evento raro in Italia, come abbiamo avuto purtroppo modo di riscontrare nella sequenza del 2016 in Italia centrale o nella sequenza del 1968 del Belice, nella Sicilia occidentale.

Il periodo estivo, l’ora degli eventi principali e l’allarme causato dalla piccola scossa precedente hanno contribuito a far sì che durante le scosse principali la popolazione si trovasse per lo più all’aperto e conseguentemente a limitare il numero di vittime. Il bilancio fu di 20 vittime e più di 16.000 senzatetto; anche per questo motivo il terremoto del 21 agosto viene probabilmente poco ricordato e viene denominato – da coloro che lo ricordano perché lo hanno vissuto più o meno direttamente – il “Terremoto bianco” o il “Terremoto signore”.

Dal punto di vista geologico è opportuno non dimenticarlo perché, proprio per le sue caratteristiche di “terremoto multiplo”, per la sua localizzazione e la sua cinematica, ci fornisce delle informazioni preziose per migliorare la nostra conoscenza della sismotettonica dell’Appennino meridionale, ma procediamo con ordine.

Il terremoto del 1962, pur essendosi verificato nel cosiddetto periodo di “boom economico” italiano, analogamente al terremoto che avrebbe colpito solo sei anni dopo il Belice, ha colpito un’area “di estrema marginalità dal punto di vista di collocazione geografica, sociale ed economica”. La descrizione del contesto storico-sociale dei territori colpiti e della risposta istituzionale al verificarsi del terremoto sono stati oggetto dei due volumi in bibliografia e di altri articoli su INGVterremoti.com:

Una story maps per ricordare il terremoto del 21 agosto 1962

I terremoti del ’900: Il terremoto del 21 agosto 1962 nell’Appennino campano

In particolare la sequenza sismica è stata oggetto di una approfondita revisione dal punto di vista degli effetti macrosismici  in un lavoro di Fabrizio Terenzio Gizzi (2012), grazie al quale oggi conosciamo il danneggiamento (e il risentimento) causato dagli eventi del 21 agosto in ben 562 località italiane.

Conoscere gli effetti macrosismici di una singola scossa è molto importante per il geologo perché innanzitutto gli consente di vincolare la localizzazione dell’evento rispetto all’assetto sismotettonico dell’area e secondariamente perché l’eventuale allungamento dell’area macrosismica può fornire informazioni sulla direzione della faglia responsabile del terremoto stesso. Alcune diverse tipologie di contributi che la macrosismica può fornire allo studio sismotettonico sono descritte in questo lavoro del 2020Purtroppo gli effetti macrosismici dei tre eventi principali del 21 agosto sono poco utili al geologo perché indistinguibili l’uno dall’altro a causa del poco tempo intercorso tra una scossa e l’altra. Inoltre sono stati aggravati dalla particolare vulnerabilità degli edifici dovuta sia alla pessima qualità della “povera” edilizia locale sia alla riattivazione delle numerosissime frane localizzate sui rilievi collinari su cui è edificata la maggioranza dei paesi colpiti (Figura 1).

Figura 1. Stralcio del Foglio geologico n. 419 San Giorgio La Molara della Carta Geologica d’Italia  in scala 1:50.000 (ISPRA, 2009; disponibile al link). Si possono osservare – oltre alle rocce affioranti (rappresentate con i diversi colori) – anche i numerosi corpi di frana (rappresentati con il reticolato rosso) che interessano l’area degli abitati di Pago Veiano e San Giorgio la Molara nel beneventano. Entrambi i centri abitati sono delimitati da corpi di frana e, in ambedue i paesi, alcuni edifici crollarono e numerosi edifici subirono danni molto gravi e furono resi inabitabili in seguito alla sequenza del 21 agosto. Ad entrambi i Comuni è stata attribuita un’intensità “cumulata” (in quanto relativa alle diverse scosse) pari al VII-VIII grado della scala Mercalli-Cancani-Sieberg (MCS).

L’elevata franosità dell’area – con ampi fenomeni di dissesto sia superficiali sia profondi – è dovuta alla diffusa presenza nell’area epicentrale di litotipi particolarmente erodibili quali argille, arenarie, sabbie e conglomerati (aree colorate nelle varie gradazioni di verde e marrone presenti in Figura 1). Diversi paesi del Sannio e dell’Irpinia sorgono su cosiddette “paleosuperfici sommitali”, aree sub-pianeggianti poste alla sommità di rilievi delimitati da valli molto incise, spesso  caratterizzate da diffusa presenza di movimenti franosi e, a luoghi, anche di forme calanchive. La diffusa franosità modifica consistentemente il paesaggio e contribuisce a “mascherare” o rendere inaccessibili informazioni preziose al geologo che effettua l’interpretazione di fotografie aeree e/o i rilievi di terreno mirati all’individuazione delle faglie responsabili di forti terremoti quali quelli del 21 agosto 1962.

Cosa sappiamo di questa sequenza dal punto di vista strumentale?

I sismogrammi dei terremoti dell’agosto 1962 e di altri eventi sismici del XX secolo sono oggi disponibili grazie all’opera di ricerca, recupero e conservazione portata avanti negli anni dal nostro Istituto (http://sismos.ingv.it). Numerose stazioni sismiche operanti nel 1962 in Italia, in Europa e nel mondo hanno registrato gli eventi del 21 agosto (Figura 2).

Figura 2. Stazioni sismiche che hanno registrato la sequenza del 21 agosto 1962 e i cui sismogrammi sono stati utilizzati per il calcolo delle coordinate ipocentrali, del meccanismo focale e della magnitudo. In blu la stazione di De Bilt che ha registrato il sismogramma rappresentato in Figura 3 (modificato da Vannoli et al., 2016).

Il verificarsi dei primi due terremoti nell’arco di tempo di soli dieci minuti, oltre a rendere impossibile l’attribuzione di determinati danni a un evento o all’altro, rende anche molto complessa la lettura e l’interpretazione dei sismogrammi analogici dell’epoca, per via della sovrapposizione delle onde del secondo terremoto sulla “coda” delle onde del primo evento (Figura 3).

Figura 3. Porzione di sismogramma che mostra la sovrapposizione dei primi due forti eventi del 21 agosto 1962. Il sismogramma è stato registrato dal sismografo orizzontale Galitzin (componente est-ovest) posizionato all’interno della stazione sismica di De Bilt, località nei pressi di Utrecht in Olanda (codice internazionale della stazione: DBN). I due eventi sismici hanno avuto origine nell’Appennino meridionale alle ore 18:09:06.3 e alle 18:19:33.4 (orario UTC; fonte: Catalogo ISC) e sono stati registrati dal sismografo in Olanda circa tre minuti dopo, precisamente alle ore 18:12:13 e 18:22:38. L’arrivo della prima scossa al sismografo di De Bilt con le relative onde P e le onde S sono indicati in verde, l’arrivo e le onde della seconda in rosso.

In ogni modo, nel tempo, diversi autori si sono cimentati con la complessità di questa sequenza, qui di seguito le tabelle riassuntive dei meccanismi focali disponibili in letteratura per le tre scosse; gli autori dei meccanismi focali hanno calcolato anche la magnitudo e gli ipocentri dei terremoti (Tabelle 1, 2 e 3).

Tabella 1: Meccanismi focali – corredati da localizzazione e magnitudo – del primo forte evento (ora UTC 18:09; ora locale 19:09) della sequenza sismica del 21 agosto 1962. -: dato non disponibile; F: profondità fissata. L’ultima colonna contiene la rappresentazione grafica del meccanismo focale, chiamata usualmente beach ball. Da notare che la metodologia adottata da Di Filippo e Peronaci (ID 1) permette di discriminare i due possibili piani di frattura ma non le zone soggette a compressione (in bianco nella beach ball) e a dilatazione (in nero), ossia rispettivamente l’asse P e l’asse T. Gli epicentri sono rappresentati in giallo in Figura 4 ed etichettati con il loro ID.
Tabella 2: Meccanismi focali – corredati da localizzazione e magnitudo – del secondo forte evento (ora UTC 18:19; ora locale 19:19) della sequenza sismica del 21 agosto 1962. -: dato non disponibile; F: profondità fissata. Gli epicentri sono rappresentati in bianco in Figura 4 ed etichettati con il loro ID.
Tabella 3: Meccanismo focale, con localizzazione e magnitudo, del terzo forte evento (ora UTC 18:44; ora locale 19:44) della sequenza sismica del 21 agosto 1962. L’epicentro è rappresentato in verde in Figura 4 ed è etichettato con il suo ID.

Oggi, nel Catalogo parametrico dei terremoti italiani (CPTI15), i tre eventi delle 19:09, 19:19 e 19:44 hanno rispettivamente magnitudo momento (Mw) pari a 5.7, 6.2 e 5.3; il secondo evento della sequenza è il più forte, e anche dal sismogramma di Figura 3 si possono apprezzare le ampiezze notevolmente maggiori delle onde del secondo evento rispetto a quelle del primo.

Gli epicentri dei tre eventi – ad eccezione della seconda scossa localizzata da Mc Kenzie (ID 3; Tabella 2) che, probabilmente per un refuso, risulterebbe localizzata nei pressi di Foggia – sono relativamente vicini tra loro e sono concentrati nell’area tra Ariano Irpino, Apice e San Giorgio la Molara (Figura 4).

Figura 4. Epicentri per i quali sono stati calcolati i meccanismi focali del primo (tabella 1, in giallo), del secondo (tabella 2, in bianco) e del terzo terremoto del 21 agosto (tabella 3, in verde). I terremoti sono etichettati con gli identificativi (ID) presenti nelle tre tabelle.

I tre terremoti del 21 agosto risulterebbero relativamente profondi (Tabelle 1, 2 e 3), ossia con una profondità superiore, per esempio, ai 10-14 km di profondità del ben noto e assai più energetico terremoto dell’Irpinia del 1980. Pur nella consapevolezza della notoria difficoltà di vincolare adeguatamente la profondità di un terremoto, questi valori colpiscono perché, come vedremo, nell’area sono state negli anni registrate diverse altre sequenze oltre i 10-15 km di profondità.

Ma che informazioni ci forniscono i meccanismi focali?

Ci permettono di ricavare preziose informazioni sulla geometria della faglia che ha generato il terremoto, ossia l’orientazione e l’inclinazione del piano di faglia nello spazio, e sul vettore dello spostamento relativo lungo il piano di faglia stesso. Mentre per la terza scossa abbiamo un unico meccanismo focale di tipo trascorrente, per le prime due scosse abbiamo contemporaneamente meccanismi focali con diverse cinematiche, sia trascorrenti sia estensionali / transtensivi e pertanto, in definitiva, meccanismi focali poco vincolati. Questi meccanismi focali discordanti tra loro sono stati calcolati perlopiù con il metodo più utilizzato in passato, quello che utilizza le polarità dei primi arrivi dell’onda P osservate ai diversi sismografi. Oggi disponiamo di metodologie più innovative per il calcolo del meccanismo focale che si basano sul confronto dei sismogrammi reali con i sismogrammi teorici, utilizzando le forme d’onda complete o una loro parte. Nel caso dei due eventi delle 19:09 e delle 19:19 l’applicazione di alcune moderne tecniche è inattuabile perché inficiata dalla sovrapposizione dei sismogrammi dei due eventi. Pur avendo informazioni contrastanti sul tipo di faglia responsabile dei due terremoti, dai meccanismi focali delle tabelle 1 e 2 possiamo ottenere una orientazione media del campo di sforzo regionale: l’asse di sforzo compressivo (ossia l’asse P) delle prime due scosse è perlopiù suborizzontale e orientato nordovest-sudest.

Cosa si sa della sismicità e della sismotettonica dell’area?

La sequenza del 1962 si è verificata al di sotto delle massime cime della catena appenninica, in corrispondenza – in base almeno alla mera localizzazione epicentrale – della ben nota area estensionale che caratterizza tutta la dorsale montuosa appenninica. Le grandi faglie normali – come quelle responsabili dei terremoti dell’Irpinia del 1980 o della sequenza del Centro Italia del 2016-2017 – sono situate in posizione simile rispetto alla posizione delle massime vette dell’Appennino e hanno, per definizione, un asse P subverticale. L’area epicentrale del 1962, pur essendo situata in corrispondenza delle massime cime appenniniche e solo ad una quarantina di chilometri di distanza dai forti terremoti estensionali dell’Irpinia del 1980, sembra presentare due principali differenze con la sequenza del 1980:

1. la probabile diversa profondità; i terremoti del 1980 interessano i primi 15 km di crosta, quelli del 1962 sembra raggiungano profondità maggiori;

2. la differente orientazione dell’asse di sforzo compressivo; nel caso del 1980 subverticale, nel caso del 1962 suborizzontale con orientazione nordovest-sudest.

La Figura 5 ci mostra come l’area epicentrale del 1962 si trovi proprio in corrispondenza di un’area in cui sono presenti anche terremoti con profondità superiore ai 15 km e con regime tettonico sia estensionale sia trascorrente.

Figura 5. Elaborazioni tratte dai meccanismi focali disponibili nell’area in esame che evidenziano le differenti profondità e le differenti orientazioni dell’asse P (dati da Vannucci e Gasperini, 2004; database EMMA aggiornato con dati non pubblicati; figura modificata da Vannoli et al., 2016). Pannello A: meccanismi focali rappresentati con diversi colori in base alla loro profondità ipocentrale. Sono mostrati gli anni di accadimento dei principali eventi sismici descritti nel testo. Pannello B: Rappresentazione dei meccanismi focali (tecnica di Kostrov, 1974) che mostra il regime di stress attraverso i diversi colori (dal diagramma di Frohlich) all’interno di una maglia esagonale di 10 km di lato. Sono mostrate in blu le aree soggette ad estensione, in rosso a compressione e in verde le aree trascorrenti. All’interno di ogni esagono sono mostrati gli assi P e T proiettati sul piano orizzontale. Da notare come la stella rossa, che rappresenta l’area epicentrale del 1962, si trovi in un’area in cui sono presenti terremoti con profondità superiore ai 15 km (pannello A) e con regime tettonico sia estensionale sia trascorrente (pannello B).

Se diamo uno sguardo al contesto regionale, oltre al ben noto terremoto superficiale ed estensionale dell’Irpinia 1980 (Mw 6.8), abbiamo a nord la sequenza trascorrente e profonda dai 10 ai 20 km del Molise del 2002 (Mw 5.7)  e a sud la sequenza – anche questa trascorrente e profonda una ventina di chilometri – di Potenza del 1990-1991 (Mw 5.8). Le sequenze del 1990-1991 e del 2002 sono localizzate più ad est rispetto all’asse appenninico, nel cosiddetto “avampaese adriatico” (Figure 5 e 6 ). Il terremoto del 23 luglio 1930 (Mw 6.7) è un altro evento che ci fornisce preziose informazioni, in quanto: (a) è localizzato tra il vulcano del Vulture (ad est) e la sequenza del 1962 (ad ovest); (b) presenta un ben vincolato meccanismo focale transtensivo con asse P orientato nordovest-sudest e (c) il piano di faglia responsabile di questo evento (quello ritenuto in letteratura più plausibile) ha una direzione decisamente antiappenninica (Figure 5 e 6 ).

Nell’area epicentrale della sequenza del 1962, oltre al forte terremoto del 1930, nel corso del tempo si sono verificate altre sequenze con cinematica transtensiva o trascorrente pura, quali quelle del 6 maggio 1971 (Mw 4.8), del 14 febbraio 1981 (Mw 4.9), 18 marzo 1992 (Mw 4.1), 21 maggio 2005 (Mw 4.1), 27 settembre 2012 (Mw 4.4; Adinolfi et al., 2015), 16 dicembre 2019 (Mw 3.9;  Figura 5 ). Nell’area di avampaese ad est della catena appenninica sono presenti terremoti storici attribuiti a strutture trasversali, tra questi anche una tra le più forti sequenze di tutta la storia sismica italiana, quella del dicembre 1456 (Mw 7.2; Fracassi e Valensise, 2007). La sequenza del 1456 è costituita da più forti eventi, come abbiamo visto ricorrere spesso in Italia (Tabella 1); si ritiene che la faglia responsabile dell’evento più meridionale – ossia la faglia che ha causato intensità pari al X grado MCS ad Ariano Irpino, Apice e Pesco Sannita – sia una faglia antiappennica e transtensiva, analoga, come geometria, cinematica e posizione strutturale, a quella responsabile del terremoto del luglio 1930. Tale faglia è molto prossima all’area epicentrale della sequenza del 1962 (Figura 6).

Figura 6. Sketch sismotettonico di parte dell’Appennino meridionale in cui sono mostrati i meccanismi focali dei terremoti con M ≥ 4 e le sorgenti sismogenetiche individuali  e composite  (DISS Working Group, 2021) rappresentate rispettivamente con rettangoli e aree colorati in accordo con la loro cinematica. Le sorgenti sono ritenute responsabili dei terremoti mostrati; se il terremoto è avvenuto in epoca strumentale ed è pertanto disponibile il meccanismo focale, l’anno di accadimento è scritto in accordo con il colore della sua cinematica. Da notare come in prossimità dell’area epicentrale della sequenza del 1962 (stella rossa) non siano presenti terremoti e sorgenti estensionali.

In definitiva possiamo affermare che le faglie sismogenetiche sinora individuate nell’Appennino meridionale appartengono sia a sistemi di faglie estensionali che interessano i primi 10-15 km di crosta e che si sono formati durante l’attuale regime di stress attivo (in blu in Figura 6), sia a sistemi di faglie trascorrenti (in verde) / transtensive (in azzurro) che possono interessare anche aree più profonde della crosta e che si sono riattivate nell’attuale regime di stress. Le faglie trascorrenti infatti sono spesso strutture ereditate formatesi durante le precedenti fasi tettoniche che possono essere riattivate con cinematica variabile a seconda della loro orientazione rispetto all’attuale campo di stress. Queste strutture del passato sono non di rado caratterizzate dalla presenza di importanti manifestazioni di geofluidi, quali per esempio sorgenti termali ed emissioni di CO2 (Vannoli et al., 2021). Le strutture ereditate si ritiene possano avere un ruolo molto rilevante nell’assetto geologico dell’Appennino meridionale in quanto potrebbero aver condizionato (e continuare a condizionare) la segmentazione e l’arretramento differenziale di diversi lembi di litosfera adriatica.

In definitiva che cosa ci fanno intuire le faglie che si sono attivate il 21 agosto del 1962?

Abbiamo visto come sia particolarmente complesso individuare e caratterizzare le faglie responsabili di terremoti così vicini nel tempo e nello spazio quali quelli del 21 agosto 1962. L’identificazione di queste faglie è resa ancora più difficile da

(a) la mancanza di fagliazione superficiale,

(b) la complessità geologica dell’area,

(c) l’assenza di meccanismi focali affidabili.

In ogni modo potrebbe trattarsi di una sequenza sismica relativamente “profonda” e con un generale asse di sforzo compressivo orientato nordovest-sudest; due caratteristiche proprie delle strutture ereditate che si riattivano oggi con cinematica trascorrente o dalla significativa componente trascorrente (Tabelle 1, 2 e 3 ). I forti terremoti strumentali che hanno mostrato inconfutabile cinematica trascorrente (come le sequenze del 1990 e del 2002) si sono verificati nelle porzioni più esterne dell’Appennino meridionale e nelle aree di avampaese (Figura 6). Nel caso della sequenza del 1962 invece ci troviamo proprio lungo la zona assiale della catena appenninica. Siamo in un’area molto peculiare dell’Appennino, compresa – probabilmente non a caso – tra il vulcano del Vulture e i vulcani della costa campana, in cui non sono note grandi faglie normali con direzione appenninica e sono presenti manifestazioni di CO2 come quelle di Motta e Buonalbergo.

La sequenza del 1962 ci suggerisce che la fagliazione estensionale non è l’unica a caratterizzare la parte assiale della catena appenninica (come usualmente ritenuto) e che le faglie trascorrenti potrebbero avere un ruolo primario nella sismogenesi della nostra penisola.

A cura di Paola Vannoli (INGV- sez. Roma1)

Bibliografia

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